di Veronica Rossi
Da vita del 12 giugno 2023
Per la terza volta è stata depositato dagli onorevoli Debora Serracchiani e Filippo Sensi (Pd) il Disegno di legge «Disposizioni in materia di salute mentale», pensato per dare strumenti di attuazione concreta alla Legge 180, l’epocale «Legge Basaglia», che, nel 1978, ha sancito la chiusura degli ospedali psichiatrici. La norma, proposta dal Forum salute mentale – inizialmente gruppo informale di medici, operatori, persone con esperienza e cittadini attivi sul tema, diventato ora ufficialmente un’associazione – era già stata presentata nel 2017 a firma di Nerina Dirindin (Articolo 1 – Movimento democratico e progressista – Liberi e uguali) e Luigi Manconi (Pd) e riproposto nell’ultima legislatura dall’ex deputata Elena Carnevali (Pd) e dall’allora senatrice Paola Boldrini (Pd).
Il Ddl propone l’attuazione in tutto il territorio nazionale di strumenti adeguati alla presa in carico delle persone con disturbi psichiatrici, valorizzando il loro ruolo come parte attiva all’interno del percorso di cura e della società in cui sono inseriti, come già avviene in alcuni Dipartimenti di salute mentale – Dsm in Italia. Scopo della legge sarebbe anche richiamare i servizi, i dipartimenti, le regioni, la magistratura a vigilare sull’attuazione delle misure di sicurezza, individuando concretamente livelli di assistenza e percorsi di cura, prevedendo l’operatività dei servizi sul territorio per 24 ore al giorno e mettendo sempre al centro la persona e i suoi bisogni. Interventi di questo tipo non si mettono solo nel solco della rivoluzione basagliana, ma si pongono anche dell’ambito dei principi del piano d’azione sulla salute mentale dell’Organizzazione mondiale della sanità – Oms, come della convenzione Onu dei diritti delle persone con disabilità.
Il Ddl sarebbe, secondo i suoi ideatori, «distonico» rispetto alla tendenza che si registra nell’ambito della salute mentale – e della salute in generale – negli ultimi anni, che parrebbe orientata più verso l’accentramento, l’ospedalizzazione e l’allontanamento dalle persone. «Le “strutture residenziali” sono presenti in tutte le Regioni. In alcune, poche, si conta di 1 posto letto ogni 10.000 abitanti in altre si arriva fino a 5 volte tanto. Quasi ovunque si consumano più della metà ( fino ai 3⁄4) delle risorse regionali per la salute mentale. La tendenza a ricorrere al “posto letto residenziale” sembra in crescita inarrestabile e riduce irrimediabilmente la consistenza e la capacità di intervento dei servizi territoriali», scrivono in una nota i rappresentati del Forum. «Occorre dunque ripensare alla presenza della cooperazione sociale, costretta ad appiattirsi su infelici politiche regionali. Rischia di diventare dominante la diffusione di luoghi che assomigliano a cronicari. Le ingenti risorse, passivamente dedicate alla “residenzialità”, sarebbero sufficienti per ripensare a forme diverse dell’abitare, dell’inserimento lavorativo, del vivere sociale. I progetti riabilitativi individuali, dove attivati, producono risultati tanto evidenti quanto inaspettati».
L’associazione punta l’attenzione anche sui Centri di salute mentale – Csm, mal distibuiti nel Paese. « In alcune Regioni, per via delle razionalizzazioni e degli accorpamenti, i Csm vanno ulteriormente riducendosi di numero, insistendo su aree estese e popolazioni sempre più numerose. Sono aperti per fasce orarie ridotte: ad eccezione di alcune realtà regionali per otto – 12 ore al giorno per cinque giorni alla settimana. Gli interventi di gestione della crisi, di presa in carico individuale, di sostegno alle famiglie e all’abitare, di integrazione sociale, finiscono per essere insufficienti o del tutto assenti. Frequente è la riduzione alle sole visite ambulatoriali (con il ricorso a sterminate liste di attesa) per prevalenti prescrizioni farmacologiche». Sul tema si è formata anche una Commissione parlamentare d’inchiesta, che ha annotato: «Come conseguenza le tipologie delle prestazioni risultano poco o per nulla declinate sulle necessità della persona, a partire dalla disponibilità all’ascolto, mancano il sostegno integrato con il sociale presso il domicilio, la risposta all’emergenza e alla crisi nelle 24h, la mediazione familiare in situazione di allarme».
Nodo centrale del Ddl anche la regolamentazione dei Trattamenti sanitari obbligatori – Tso. Secondo i promotori della norma, questo strumento sarebbe stato mal interpretato nella sua attuazione e tradotto in pratiche violente, allontanandosi dall’idea con cui questo provvedimento nacque: non doveva essere sopraffazione, quanto piuttosto un abbraccio di cura che passa attraverso confronto e mediazione. «Siamo tutti consapevoli ma non ci stancheremo mai di ripeterlo, che anche questa volta, e con questo governo poi, questo ddl non uscirà dal deposito per essere quanto meno discusso in aula», scrivono la presidente e il segretario del Forum salute mentale, gli psichiatri Carla Ferrari Aggradi e Peppe dell’Acqua. «Questo è facile prevedere che accada e allora voi tutti chiederete: perché metterlo in gioco ancora una volta? La risposta è tanto semplice quanto fanciullesca e ottimista. Pensiamo, come in tanti hanno finora detto, che si tratta di un buon documento e che malgrado siano trascorsi cinque anni riesce ancora a guardare avanti. E allora osiamo pensare che possa diventare una sorta di manifesto che impegna tutti noi a riconsiderare quanto ancora può produrre la “rivoluzione”. Il disegno di legge poi sembra essere, a dire di molti, un manuale di buona pratica, una sorta di vademecum per chi si accinge al mestiere della cura».
https://www.vita.it/it/article/2023/06/12/dare-gambe-alla-180-sara-la-volta-buona/167093