di Pietro Pellegrini
Ho conosciuto Franco Rotelli oltre trent’anni fa quando era direttore del dipartimento di salute mentale di Trieste, una città riferimento internazionale per la salute mentale, essendo centro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Succeduto a Basaglia, Rotelli ha avuto il difficile compito di dare realizzazione alla legge 180 e ne ha incarnato con la radicalità delle pratiche le istanze più profonde che sono alla base di innovazioni come il “Centro di Salute Mentale aperto nelle 24 ore” o “l’Impresa sociale”. Un cambio di paradigma in base al quale l’oggetto non è tanto la malattia quanto l’esistenza-sofferenza dei pazienti in rapporto al corpo sociale e la destituzionalizzazione è lo smontaggio di apparati, di pregiudizi per creare nuove conoscenze e diverse organizzazioni. Una visione nella quale le teorie nascono dalle pratiche che sono sempre dinamiche e attente alla fruizione reale diritti dei pazienti: autodeterminazione, libertà, lavoro, casa, reddito, cultura, partecipazione.
Come scrive nel suo bellissimo ricordo Luigi Benevelli, “per tutta la vita Franco non ha mai smesso di lavorare per il riscatto e la dignità delle persone “segnate” dal destino e dalla vita”. Anche dai reati. Rotelli, favorevole alla chiusura degli OPG, ha sempre evidenziato le contraddizioni di un percorso difficile che dovrebbe portare a superare anche le REMS in favore di un sistema di cura e giudiziario di comunità.
Rotelli è stato anche Direttore Generale dell’Azienda sanitaria di Trieste ed ha saputo inventare una “nuova istituzione” sanitaria, in grado di creare salute affrontando anche la sofferenza sociale per l’esclusione, le povertà e la fragilità delle persone.
Il sogno di una città che cura ha trovato realizzazione con la creazione delle “Microaree”, spazi nei quartieri dove operatori e volontari stanno vicino alle persone per riattivare relazioni, speranze e costruire salute, senza abbandonare nessuno. Una linea che si è intrecciata con il lavoro che a Parma abbiamo fatto sul budget di salute per connettere le risorse delle comunità con il sistema di welfare pubblico universale.
Con affetto, ricordo l’iniziativa di Rotelli di piantare cinquemila rose nel parco dell’ex Ospedale psichiatrico di Trieste. “Forse le idee nascono e possono crescere in un luogo ma devono per forza diffondersi nell’ovunque”. E di rose ne avrebbe volute piantare altre cinquemila, perché “la rosa che non c’è chiama un tempo altro, una generazione altra, una nuova energia, un nuovo amore.” (Franco Rotelli, “Quale psichiatria?” Ed. Alfabeta Verlag).