La piazza del Forum si sta ripopolando.
Il documento programmatico dell’ottobre 2003 andrebbe riletto, non senza meraviglia. Riscopriremo la lungimiranza di quello scritto.
Intanto la pagina di premessa, che pubblichiamo per intero, sia di buon auspicio.
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Documento programmatico del Forum Salute Mentale
Roma, 16 ottobre 2003
Ridurre la dissociazione che molti da tempo avvertono tra enunciati e pratiche nel campo delle politiche della salute mentale è il motivo fondante l’incontro di oggi e la proposta di lavoro del Forum per la Salute Mentale di cui abbiamo voluto la nascita e proponiamo qui lo sviluppo.
Un grande cambiamento si è prodotto in Italia in questi 25 anni di vita della riforma psichiatrica che ha chiuso i manicomi pubblici; ha riconosciuto il diritto di cittadinanza alle persone con disturbo mentale; ha mutato il vecchio rapporto tra psichiatria e giustizia; ha dato avvio alla formazione di un sistema di servizi di salute mentale ormai diffusi in tutto il territorio nazionale; ha mutato il destino di migliaia di uomini e donne con sofferenza (e dei loro familiari); ha avviato un cambiamento di atteggiamento culturale nei confronti di ogni forma di diversità evidenziando l’illibertà, la disuguaglianza e l’esclusione sociale troppe volte a questa connessa.
La legislazione di riferimento è ben nota e a nostro parere in nulla da modificare. Se poi sia da integrare, anche questo il Forum è chiamato eventualmente a dire. Si pone invece con forza ed urgenza, ed appare ormai improrogabile, la questione della qualità dei servizi, che appaiono troppo spesso segnati da una ambigua dissociazione tra le pratiche e le enunciazioni teoriche, tra i principi e i modelli organizzativi, tra le risorse in campo e i percorsi reali di cura, quali modifica concreta delle condizioni di vita e di ben-essere dell’individuo/a e del suo contesto.
È su questo, su una necessaria inversione di tendenza, che il Forum vuole porre l’attenzione e, con grande enfasi in ogni caso, sulle pratiche; partendo da questo ci pare possibile contribuire a ri- vitalizzare -riportando l’analisi e il confronto alle radici della lotta per il cambiamento- impegni di operatori ed operatrici, di forze politiche, sociali, delle istituzioni, dei movimenti e della gente.
La nostra difesa della legge (atto quant’altri mai doveroso) non può essere ulteriormente negoziata con una riduzione dello sguardo critico su ciò che in concreto accade e su tutte le distorte, carenti, ridotte o travisate applicazioni concrete.
Riteniamo che oggi la legge si debba difendere riaprendo il dibattito sulla qualità dei servizi, sugli stili operativi, sui modelli organizzativi, sulle risorse in campo, sull’uso delle risorse umane e materiali, sull’avvenuto restringimento delle pratiche per la salute mentale alla sola psichiatria, pena l’azzeramento della forza innovativa dell’esperienza italiana di deistituzionalizzazione, l’oscuramento dei soggetti, la negazione dei diritti, l’abbandono degli utenti con più basso potere contrattuale.
L’elenco che configura la distanza tra enunciati e pratiche è lunghissimo, in buona misura noto e in buona misura, riteniamo, largamente condivisibile. Quel che tuttavia ci aspettiamo è che negli interventi di queste giornate a più voci, da più parti, e immaginiamo, con diverse enfasi, questo elenco venga riempito di luoghi, fatti, specifiche denunce, circostanze, fotografie ……
Riteniamo però importante definire la posizione di questo Forum, porre delle discriminanti, riprendere anche “vecchie” questioni su cui con l’esperienza dei 25 anni di riforma possiamo ri- aprire la discussione con maggiori certezze, porre le prospettive e soprattutto affrontare le separazioni che nelle pratiche e nelle culture in questi anni si sono determinate. Riunire ciò che in questi anni è stato diviso, ci pare oggi centrale: la clinica, il sociale, il biologico, lo psichico, le istituzioni e i soggetti, l’assistenza e il lavoro e tante altre. E’ come se una forza spingesse proprio tutti verso un destino separato, passivo, assegnato. Riunire perché si sviluppi il conflitto sulle esperienze concrete e non sugli artefatti delle cose separate. Oggi sappiamo che la continuità della pratica, quando si fa destino di un’altra persona designata in cura, dipende dalla capacità di suscitare, costruire, inventare altre occasioni che non siano quelle inscritte solo nelle nostre professioni. Le professioni devono rimanere strumenti inclusi nella realtà concreta delle persone, capaci di riaprire ad esse il re-incontro con la vita.
Oggetti veri come la casa, un reddito, il possesso delle cose utili, il corpo stesso, non sono riprodotti dalle cure di per sé. Sono loro al contrario che permettono alle cure di avere il senso, la direzione, la bellezza. Si dice “integrazione socio-sanitaria”, ma è questo che con essa noi intendiamo.
Potremmo poi dire e parlare dell’efficacia, ma è parola astratta che evoca un prodotto sanitario certamente utile ed importante, previsto dalla correttezza delle procedure e sostantivo dell’evidenza clinica. Prodotto rigido che non evoca mai quello che succederà dopo, il destino, la prognosi, il futuro. La generica speranza è l’unica parola che viene usata per designare il dopo dell’evidenza clinica e il prima dell’efficacia dei trattamenti. Ma la speranza concreta, quando diviene una pratica e un’esperienza, pretende di invadere campi non frequentati dalla clinica, variabili in continuum che riguardano la qualità dell’habitat, il possesso di strumenti emancipativi, abilità sociali condivise.
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