di Silva Bon
2 gennaio 2022
Denis, il giovane Denis, quasi un adolescente. Un’esplosione di pensieri, di energie, di spinte interiori che hanno bisogno di trovare un’uscita, di essere dette, di essere vissute in tutta la loro urgenza, la loro spontaneità, la loro autenticità.
Lo ho incontrato, Denis, prima della pandemia, in un seminario organizzato dal DSM di Trieste, che aveva come obiettivo far riflettere le persone con esperienza sullo stigma, sulla loro vita in rapporto alla società e al mondo intorno. Il seminario era in realtà una co – produzione, che vedeva gli operatori accanto alle persone, cui era data anche la responsabilità di condurre in parte l’incontro, e comunque di intervenire liberamente. Anzi, la loro parola era ricercata e preziosa.
Denis aveva molto da dire, e nel flusso del discorso lasciava intravvedere riferimenti colti, scaturiti da una visione larga e omnicomprensiva, anche confusa a volte, ma certamente frutto di una cultura e di una precedente scolarizzazione consolidate.
Oggi Denis è ricoverato in SPDC a Trieste, da più di un mese, in condizioni di salute che non corrispondono a momenti di crisi prolungata, tali da giustificare ulteriormente il suo stare là, in ospedale. Ma non c’è più il CSM che lo possa accogliere sulle 24 ore, anche la notte.
E curare, essere curati, in salute mentale non è, non corrisponde a essere detentori di un posto letto.
Io sono indignata e denuncio con forza questo accadimento, perché so, lo ho provato anch’io, lo testimonio, che le persone hanno bisogno di essere accolte in un momento e in una situazione di socialità, non certo di isolamento e di abbandono come è lo stare, immobili e impossibilitati, soli e isolati, in un SPDC. Anche se qui le porte sono aperte e mai si è vista la contenzione.
Questo sta succedendo a Trieste!
(Nell’immagine: carta colorata di Bertocchi detto Cucchi, Laboratorio P. 1973)