A fronte degli impacci e dei fallimenti evidenziati dal Presidente Fontana e dall’assessore Gallera nella gestione della pandemia in corso si stanno raccogliendo adesioni alla richiesta di “mandare a casa” gli attuali amministratori di Regione Lombardia e nominare al loro posto dei Commissari. Ma cosa avrebbero dovuto fare altri al loro posto, cosa dovrebbe fare chi fosse eventualmente incaricato di prendere in mano il dramma collettivo in corso? Più mascherine, tamponi, test? Più posti letti ospedalieri per trattamenti intensivi? Più “zone rosse”? Il sistema del welfare lombardo resta comunque un’eccellenza mondiale?
Io credo che non ce la possiamo cavare con poco, sostituendo chi è alla guida della Regione oggi con qualcun altro magari più efficiente. Credo invece che sia urgente un ripensamento profondo delle scelte di politiche sanitarie e sociali che, da Formigoni a oggi, hanno avuto grande consenso, e debole contrasto dalle opposizioni. Io credo che ce ne siano di più efficaci, di più attente alla dignità delle persone, e anche meno costose. Faccio l’esempio delle RSA.
Le Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) sono il frutto della riforma dell’assistenza alle persone anziane e disabili maturata a cavallo del passaggio al 3° millennio. Le RSA sono strutture residenziali destinate ad accogliere persone anziane non autosufficienti, cui sono garantiti interventi destinati a migliorarne i livelli di autonomia, a promuoverne il benessere, a prevenirne e curarne le malattie croniche.
Nelle RSA pubbliche e private accreditate che hanno un contratto con la sanità regionale, una parte dei costi viene sostenuta dal Fondo Sanitario Regionale, l’altra parte è sostenuta dalle persone ospiti o dai Comuni dove esse risiedono. Nelle RSA che non hanno un contratto con la sanità regionale, i costi sono totalmente a carico delle persone ospiti o dei Comuni di residenza.
Nelle RSA operano in primis Operatore Socio Sanitario (OSS) e Ausiliario Socio Assistenziale (ASA), poi medici, infermieri, molti volontari soprattutto nelle attività di animazione.
In Lombardia, fino agli anni Ottanta le strutture residenziali per persone anziane con limitazioni dell’autosufficienza consistevano in strutture protette per “non autosufficienti” e “case di riposo” per autosufficienti parziali, per le quali la Regione pagava una tariffa integrativa giornaliera per ospite. Con il Piano Socio Assistenziale (PSA) 1988/1990 furono definiti standard strutturali e gestionali delle unità di offerta, e si avviò il processo di unificazione di tutte le strutture sotto l’unica denominazione di R.S.A.
Le R.S.A. sono presidi che offrono a soggetti non autosufficienti, anziani e non, con esiti di patologie fisiche, psichiche, sensoriali o miste, non curabili a domicilio, un livello medio di assistenza medica, infermieristica e riabilitativa, accompagnato da un livello “alto” di assistenza tutelare e alberghiera. Vi si gestiscono progetti educativi personalizzati ed è garantita assistenza sanitaria generalista continuativa 24h/7gg.
Al novembre 2019 le RSA operanti in Lombardia erano 707 per un totale di poco meno di 60.000 posti letto e 17.000 addetti; di esse 171 ospitano “nuclei Alzheimer”; 517 sono gestite da soggetti privati. Nel 2001, quando si è avviato il percorso della riforma, il 60% delle RSA lombarde era a gestione pubblica; nel 2010 la quota “pubblica” è calata al 12% e nel dicembre 2018 è all’8%.
Secondo uno studio del Sindacato dei Pensionati SPI CGIL l’offerta lombarda di assistenza nelle RSA è di 26,6 posti residenziali ogni 1000 abitanti, quasi tre volte la soglia minima del 9.8‰ indicata dai Livelli Essenziali di assistenza (LEA).
Si accede alla RSA dopo la valutazione e la classificazione delle condizioni generali di salute secondo le 8 classi della “Scheda di osservazione intermedia di assistenza” (SOSIA); le situazioni sono poi regolarmente monitorate nel corso del ricovero.
Poche sono in Lombardia le alternative residenziali alle RSA, quali comunità per anziani e alloggi protetti, centri diurni; deboli, poveri di risorse i servizi pubblici a sostegno della domiciliarità:
• Assistenza domiciliare integrata (ADI) che fa capo alla sanità territoriale ed eroga prestazioni socio-sanitarie, trattamenti medici, riabilitativi, infermieristici e sociali, garantendo anche la continuità assistenziale dopo le dimissioni ospedaliere. La Lombardia ha una copertura inferiore rispetto alle altre Regioni e tra il 2016 e il 2017 la percentuale di ultrasessantacinquenni lombardi che hanno avuto accesso al servizio è scesa dal 2,9% all’1,8%.
• Servizi di assistenza domiciliare (SAD) che fanno capo ai Comuni con prestazioni socio assistenziali per persone non-autosufficienti, sostegno nelle attività della vita quotidiana, alla cura personale e all’integrazione sociale.
• RSA aperta, una misura che offre la possibilità di usufruire di servizi sanitari e sociosanitari utili a sostenere la permanenza al domicilio della persona il più a lungo possibile, con l’obiettivo di rinviare nel tempo la necessità di un ricovero in una struttura residenziale.
Su tutte le RSA pesano lunghe liste d’attesa.
Le RSA sono vissute sempre più come luoghi di “fine vita”.
È stato possibile, è possibile pensare in altro modo alla gestione di un problema così grande e doloroso? Ben diverso è stato il modo di pensare e organizzare l’assistenza alle persone anziane che hanno perso o stanno perdendo la propria autonomia propugnato da Mario Tommasini (Parma, 1928 – Parma, 2006), partigiano, amministratore della Provincia e del Comune di Parma, della Regione Emilia Romagna. Egli, nella sua lunga attività di uomo politico pubblico chiuse brefotrofio, istituti per disabili psichici, manicomio di Colorno per dare vita a esperienze straordinarie come la fattoria di Vigheffio, gli orti sociali, il lavoro ai carcerati, il progetto “Esperidi”.
Tommasini, a fronte della condizione di emarginazione e pesante istituzionalizzazione degli anziani poveri non-autosufficienti e del progressivo invecchiamento della popolazione, decine di migliaia di persone da rinchiudere in posti costosi, propose di «creare condomini dove giovani coppie si mescolano a coppie avanti con gli anni; portinerie speciali per i non autosufficienti con operatori sanitari 24 ore su 24; appartamenti da comprare o affittare confondendo età diverse in quartieri normali, dentro la città, dove chi è malato solo di vecchiaia continua a restare una persona» (intervista a Maurizio Chierici, Corriere della Sera, aprile 2000). Questo accadde a Parma, Traversetolo, Fornovo, Pellegrino Parmense, Lesignano Bagni, Borgotaro, Tornolo e altri luoghi ancora.
La vicenda più straordinaria è quella degli anziani di Tiedoli, un borgo semidisabitato dell’Appennino rinato restaurando edifici cadenti per farne abitazioni civili, case (non l’ospizio) da cui gli anziani possono uscire quando vogliono, con arredi che non sanno di ospedale, con i mobili che ciascuno desidera portarsi e con un’assistenza professionale 24 ore su 24. Gli anziani vivono in una casa normale, ma sanno che con un semplice pulsante possono chiedere aiuto per qualsiasi esigenza, accendere una telecamera ed essere visti dall’operatore. Davanti alle case che hanno ridato vita al borgo, anziani e volontari fanno fiorire gli orti; bambini delle scuole dei paesi vicini “vengono a vedere, a giocare, a lasciare disegni stupendi”. Ogni persona “liberata” paga 500 euro al mese, se ne ha la possibilità. Una vita così costa cinque volte meno del ricovero in una casa di riposo a buon mercato.
Alla “Fabbrica del programma” di Prodi, Tommasini presentò un documento con una copertina con scritto “I vecchi…non lasciamoli in pace”.
Come è lontana la Lombardia di Formigoni, Fontana e Gallera!
Mantova, 20 aprile 2020
Riferimenti
FNP CISL Lombardia, Report annuale, 2019.
SPI CGIL, Non autosufficienza in Lombardia, ricerca a cura di Francesco Montemurro e Valeria Porporato, 2019.
Bruno Rossi, Mario Tommasini, eretico per amore, prefazione di Franco Rotelli e Maurizio Chierici, Diabasis, Reggio Emilia, 2006, pp. 257-269, passim.