A ottobre 2019 la morte tragica di Eugenio Carpenedo è arrivata finalmente in tribunale per l’udienza preliminare, alla ricerca di una ragione e di una verità ancora lontane e nebulose.
Tutto era accaduto intorno alle 4 del mattino di un venerdì, il 24 marzo del 2017. Eugenio Carpenedo, 62 anni, moriva (legato?) in una stanza (chiusa?) del Servizio psichiatrico di diagnosi e cura dell’Ospedale di Santorso (VI), intossicato dal fumo provocato dal fuoco del materasso del suo letto. Era un cittadino di Schio ricoverato, come dicono i suoi parenti e i suoi amici, per problemi polmonari: respirava male e fumava molto. Perché fosse ricoverato nel servizio psichiatrico non è ben chiaro. La procura di Vicenza con il pm Serena Chimichi aveva avviato un’indagine all’indomani del grave incidente. Tre operatori, presenti quella notte, sono stati indagati con l’ipotesi di omicidio colposo e con loro il Direttore dell’Azienda sanitaria e un dirigente amministrativo. Eugenio si era addormentato fumando una sigaretta nel letto della sua camera e pare che al primo avvertimento del fumo intenso non abbia potuto trovare una via di uscita perché la porta della camera sarebbe stata chiusa dall’esterno. A oggi nulla è ancora chiaro. Il risultato dell’esame autoptico è stato depositato ma non ancora divulgato. Pare avanzi più di un’ipotesi sulla presenza di lesioni ai polsi.
Eugenio era sempre stato una persona schiva e semplice che sapeva farsi apprezzare per la sua bonomia e la sua semplice generosità. Un bell’uomo, atletico, nonostante l’età, allegro e pronto a parlare con chiunque incontrava. Lo conoscevano in tanti a Schio, sempre in giro a piedi e spettinato perché barba e cavei me piase longhi. Era ospite della cooperativa Nuovi Orizzonti dal 2014, dove in precedenza aveva anche lavorato. Gli amici e gli operatori della cooperativa parlano con amarezza della sua morte. Era un buon amico, dicono, socievole, sempre disponibile nonostante le sue peculiarità caratteriali che malgrado l’età lo facevano considerare un eterno ragazzo. «Sono sconvolta. Stamattina è stato un grande dolore dirlo agli altri ospiti» – così parla Cristina Cogo, coordinatrice della residenza dove Eugenio abitava, e aggiunge: «un vuoto, lascia a tutti noi una profonda tristezza». Era nato ad Asiago come il fratello minore Battista, col quale aveva passato molta parte della sua vita. Da molti anni Eugenio si era trasferito a Schio con la famiglia. Vivevano nel quartiere di Santa Trinità in un appartamento di loro proprietà: per molti anni dopo la morte dei genitori Battista si è preso cura di Eugenio, poi tutto è diventato più difficile e non c’è più riuscito e così gli operatori dei servizi hanno deciso di ospitarlo nella residenza della cooperativa. «I due fratelli erano inseparabili. Inizialmente – racconta ancora Cogo – restava alla Casa Gialla, la nostra residenza solo per qualche periodo, era uno spirito libero: era sempre in giro».
Alla Casa Gialla Eugenio viveva assieme ad altri otto ospiti. «Era inconfondibile, col berretto sempre in testa e, pure con i suoi alti e bassi, era una persona positiva e allegra: amava molto il verde e l’aria aperta, veniva a tutte le scampagnate, – sorride la coordinatrice – ultimamente aveva un po’ di bronchite e dormiva male. Per questo la dottoressa che lo seguiva ha proposto un ricovero». Eugenio era stato accolto nel reparto di Psichiatria (si dovrebbe dire nel Servizio psichiatrico di diagnosi e cura) una decina di giorni prima. Perché nel servizio psichiatrico non è molto chiaro. «Non aveva mai manifestato istinti suicidi o violenti – è categorica Cogo – sono certa che sia stata una disgrazia».
A essere colpita, da ieri mattina, è anche Emilia Laugelli, psicologa, che ho avuto il piacere di conoscere in un convegno a Schio nel periodo del suo assessorato al welfare, credo. In passato si è occupata proprio di Eugenio, «per più di 10 anni quando lavoravo al centro diurno. Sto malissimo a pensare che non ci sia più: Eugenio, pur nei suoi limiti e difficoltà, era un amico – racconta – aveva una personalità molto particolare: la sua fragilità era compensata da una grande simpatia e un grande umorismo. E fumava molto, ma allo stesso tempo, ridendo, diceva di essere era un salutista. Quando lo incontravo era sempre una festa. So che ci mancherà».
Tutta la vicenda, le indagini, l’autopsia e il processo, è stata da subito seguita dall’associazione Cittadinanza e Salute e da alcuni aderenti della CGIL, per ora SPI/Lega di Dueville, e da un comitato di familiari e cittadini. L’associazione è attiva nel Forum Salute Mentale, e aderisce a Unasam, partecipa alla campagna per l’abolizione della contenzione …e tu slegalo subito.
L’associazione ha ottenuto nell’udienza preliminare del processo di essere parte civile. Perché l’associazione si è costituita parte civile? Perché la morte nel corso di un incendio di una persona ricoverata in ospedale non è un fatto normale. «Abbiamo molto semplicemente ipotizzato – dicono – che Eugenio in quella circostanza non fosse nelle condizioni di fuggire, o perché rinchiuso nella sua stanza o perché contenuto (sappiamo che in quasi tutti gli Spdc del Veneto la pratica di legare le persone al letto è presente e molto diffusa) o perché troppo sedato. «Aspettiamo fiduciosi gli esiti del processo. È strano che dopo tre anni di attesa – dicono al comitato – dopo l’udienza preliminare ancora oggi (gennaio ’20) non sono stati divulgati i risultati dell’autopsia».
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