« […] vite destinate a passare al di sotto di qualunque discorso, a sparire senza mai essere state dette, qualcosa di grigio e ordinario rispetto a quel che abitualmente si considera degno di essere raccontato.»
[Michael Foucault]
Il libro Una via d’uscita. Per una critica della misura di sicurezza e della pericolosità sociale. L’esperienza dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Belo Horizonte di Virgílio de Mattos si inserisce a pieno titolo nella questione, tutta italiana, della chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.
Virgílio de Mattos, giurista brasiliano e professore di criminologia e scienze politiche a Belo Horizonte nello Stato del Minas Gerais, è l’autore del volume che, con un breve ma illuminante contributo di Sergio Moccia, professore di Diritto Penale dell’università di Napoli, ha inaugurato nel 2013 una nuova sezione della Collana 180 – Archivio critico della salute mentale, ovvero quella delle Traduzioni, che intende far conoscere a un pubblico più vasto quelle ricerche e quei saggi di attualità noti solo a pochissimi addetti ai lavori, rendendoli così un utile strumento per arricchire le conoscenze e il dibattito disciplinare, sociale e politico.
Questo libro consente di ampliare le conoscenze sulla situazione della psichiatria e del diritto attraversando l’esperienza del Brasile, che presenta importanti analogie con l’Italia, ma anche rilevanti originalità e novità. Le riflessioni psichiatriche e giuridiche del testo, che hanno un valore generale, si muovono intorno al Programma di Attenzione Integrale al paziente psichiatrico, realizzato a Belo Horizonte.
Virgílio de Mattos scrive questo libro con grande rigore tecnico, ma anche con la leggerezza di un testo di narrativa. Tratta la tematica dell’internamento nei manicomi criminali, ripercorrendo la parabola dei significati giuridici, storici e filosofici che hanno sostenuto e sostengono in tutto il mondo queste pratiche. L’incontro della disciplina psichiatrica e quella giuridica ha costruito il concetto di pericolosità sociale, forzatamente connesso alla malattia mentale. La valenza di tale concetto è duplice: da una parte obbligare alla cura, mediante l’imposizione della diagnosi d’infermità mentale, dall’altra contemplare la misura di sicurezza con la conseguente sanzione penale dell’internamento. Non è più possibile affrontare la questione dell’internamento psichiatrico forense senza criticare la frattura che si viene a creare tra chi, commesso un reato, viene ritenuto sano di mente e chi, al contrario, si ritrova a fare i conti con l’infermità mentale, la pericolosità sociale, la misura di sicurezza. E tuttavia – ci dice l’autore – una via di uscita esiste ed è praticabile. Alternativa alle misure di sicurezza non può che essere l’attribuzione, sempre, della responsabilità alla persona che ha commesso il reato. Il fine è quello di consentire ad ogni soggetto, incluse le persone con disturbo mentale, di affrontare il processo, la sentenza e l’erogazione della pena entro la consueta cornice del diritto.
Prima di tutto, la responsabilità, poiché il soggetto esiste in quanto responsabile.