Trieste, 8 ottobre 2019
Da venerdì scorso, in molti mi chiedono che cosa è veramente successo a Trieste. Sono preoccupati da quanto appreso dai giornali: che Alejandro Augusto Stephan Meran fosse in cura presso i servizi di salute mentale.
Allora.
– Alejandro Augusto Stephan Meran era sconosciuto ai servizi di salute mentale.
– Proprio quella mattina la madre e il fratello si erano recati al Servizio psichiatrico di diagnosi e cura, consigliati dal 118, per la prima volta, per chiedere aiuto perché Alejandro quella notte non aveva dormito e quella mattina aveva sottratto un motorino ad una signora. Gli operatori di turno hanno ascoltato e hanno convenuto di rivedersi quando, come era nelle intenzioni dei familiari, avessero già restituito il motorino e denunciato il furto.
– Andando via hanno ricevuto ulteriori informazioni e numeri di telefono per rivolgersi sia in ospedale sia al centro di salute mentale ove mai nell’immediato ne avessero avuto bisogno.
– L’accoglienza della domanda e la proposta immediata di intervento e dell’eventuale avvio di un percorso di cura sono avvenute come da protocolli consolidati che da anni permettono una presa in carico adeguata, anche delle situazioni più difficili.
– Le diagnosi psichiatriche riportate dai giornali non si sa da chi siano state pronunciate. Nell’ordinanza il gip ha confermato che non c’è prova documentale di alcun disturbo psichiatrico.
Questo accadeva in mattinata, purtroppo nel pomeriggio l’improvvisa e lacerante tragedia.
È sconcertante per noi leggere affermazioni che sottolineano l’eccellenza di Trieste e che concludono con «tuttavia anche a Trieste accade che i pazzi pericolosi uccidano». Nella marea montante di produzione e riproduzione di stigma che l’evento ha generato, questa affermazione è la più dolorosa per le persone che vivono l’esperienza e per i loro familiari.
Come dire: anche a Trieste, come vedete, non c’è speranza.