Ne L’istituzione inventata. Almanacco Trieste 1971-2010 (2015, pp. 328, € 29.00, Edizioni Alphabeta Verlag di Merano) Franco Rotelli, medico psichiatra che ha lavorato per quasi dieci anni con Franco Basaglia e ha diretto poi per 15 anni il Dipartimento di Salute Mentale di Trieste e per altri 10 anni l’Azienda Sanitaria Triestina, in una sorta di diario di lavoro accompagnato da scritti, cronistorie e immagini in buona parte a colori, cerca di ricostruire il lavoro iniziato quant’anni fa nell’Ospedale psichiatrico di Trieste: l’esperienza di un vasto gruppo di persone che, dapprima con Franco Basaglia e poi per trent’anni dopo la sua morte, ha cambiato la storia delle istituzioni psichiatriche non solo in Italia. Fatti per qualche verso noti, ma solo in piccola parte. «Una storiografia (comprensibilmente) monotematica e una comunicazione tardivamente celebrativa hanno messo in ombra troppi elementi pur costitutivi di questa collettiva esperienza» (dalla presentazione di Rotelli). Una Storia che nel libro viene restituita con maggior ampiezza e completezza, dimostrando quanto viva e ampia è ancora la sua risonanza internazionale. Un lavoro, accolto dalle Edizioni Alphabeta Verlag, che va a fissare una parte di memoria che potrà arrivare anche alle future generazioni, non solo di operatori della salute mentale.
I contenuti del libro – che volutamente non riporta il numero delle pagine e l’indice – si sviluppano intorno a quattro momenti principali di questi quarant’anni di lavoro, che poi non sono altro quelli che Rotelli definisce i compiti per il futuro e quanto poi è accaduto a Trieste: la critica pratica all’Ospedale Psichiatrico fino alla sua chiusura, la progettazione e la difficile costruzione di una rete di servizi alternativi, la ricerca di nuove e diverse risorse formali e informali di cui disporre a sostegno dei cittadini utenti dei servizi e della loro riproduzione sociale dentro processi di inclusione (laboratori, cooperative sociali, iniziative culturali, ecc.), la difesa della legge 180 in Italia e la diffusione dell’esperienza negli altri Paesi, l’estensione all’intero sistema sanitario triestino di principi e di programmi coerenti con quanto realizzato nell’area di salute mentale.
Il lavoro dell’equipe, infatti, non si è fermato alla decostruzione del manicomio e alla costruzione di alternative sostenibili, inventandole, ma è proseguito amministrando il cambiamento, costruendo regole e dispositivi nuovi che garantissero il radicamento delle innovazioni, stimolando la nascita di laboratori teatrali (come l’Accademia della Follia), di cooperative sociali (come Cooperativa Lavorativi Uniti, La Collina, Monte San Pantaleone), iniziative culturali (come le Edizioni e o il Progetto Azimut), di associazioni di familiari, di cittadini, di persone che vivono l’esperienza del disturbo mentale (come Noi insieme, Club Zyp, L’una e l’altra, Fuoric’entro).
Gli anni Ottanta sono anni di strenua difesa di una legge nazionale, la 180, che dopo la sua approvazione continua a essere oggetto di aspre polemiche in tutta Italia e divide le persone tra chi si adopera per realizzare i principi della legge, chi la combatte e chi pur aderendovi la stravolge e la svuota di senso. L’autore tra l’altro ne riporta interamente il testo all’interno del volume, anche per dire che troppo spesso si è discusso su luoghi comuni, su pregiudizi, senza mai conoscere veramente l’oggetto della discussione. Scorrendo tra le pagine si scopre anche di una puntata del Maurizio Costanzo Show ospitata nel 1984 a Trieste in un gremito Teatro Rossetti durante la quale interpellando la platea si ottenne una inaspettata e clamorosa adesione per il mantenimento in vigore della legge 180.
Gli stessi anni vedono lo sviluppo della rete internazionale: gli operatori triestini lavorano fianco a fianco con professionisti e giovani studiosi di Brasile, Argentina, Grecia, Repubblica dominicana, collaborando ai processi di riforma delle politiche di salute mentale di quegli Stati. Il riconoscimento internazionale viene sancito nel 1987 quando il Dipartimento di Salute Mentale di Trieste viene identificato come Centro Collaboratore OMS e nel 2005 riconosciuto come Centro Collaboratore Guida per lo Sviluppo dei Servizi, nell’ambito della dichiarazione di Helsinki e del Piano d’Azione dell’OMS-Europa. Da allora organizza stages e visite di studio per un gran numero di professionisti provenienti da 28 paesi dell’Europa e di altri continenti.
E infine gli anni Novanta e Duemila, durante i quali si persegue un cammino di riforma dell’intero sistema sanitario della città. La radicalità evidente della riforma psichiatrica si estende anche a un’idea concreta di un’altra sanità, di una politica per la salute, di una politica del bene pubblico e di un pensiero sulle istituzioni che possono a ogni momento aprirsi o rinchiudersi (e rinchiudere). Sono gli anni in cui nasce l’Azienda dei Servizi Sanitari Triestina, che accorpa i servizi sanitari, ospedalieri e territoriali sotto un’unica direzione, in cui si potenziano i Servizi territoriali, con l’istituzione dei distretti sanitari e lo sviluppo di progetti come Habitat o Microaree, con i quali, e grazie all’interazione con la popolazione, le associazioni e i principali enti del territorio, si cerca di costruire un banco di lavoro dove si apprenda a rendere concreti i principi internazionali inerenti adeguate politiche sanitarie e socio-assistenziali. Si inizia a parlare di budget di salute e di reddito minimo.
«Ci sono momenti alti ed entusiasmanti in questo cammino, quando una comunità di intenti si ricostituisce, e prezzi alti pagati in altri momenti quando tutto sembra potersi disperdere soffocato dall’inerzia delle istituzioni o dall’ostilità che ti sopravanza o dalla incorporazione di ideologie senza sbocco, dalla rocciosa stupidificazione degli individualismi, dalle derive narcisistiche, dagli opportunismi miopi della politica» racconta Franco Rotelli nel libro. «Per questo ci è sembrato doveroso mettere giù questo diario. Sperando che a giovani che su queste o simili questioni dovranno impegnarsi ora e in futuro questo racconto dica qualcosa di importante: che bisogna fare per non subire e farlo con gli altri. Ricominciando ogni giorno dalla realtà. Noi abbiamo sempre cercato di fare così e siamo convinti di aver fatto buone cose che vale quindi la pena raccontare, bene o male che sia. Perché, purtroppo, il lavoro è appena incominciato, e il mondo delle psichiatrie in giro per il mondo continua ad essere molto, ma molto brutto, e quello della sanità dovrebbe essere molto, ma molto meglio».