Intervista di Gerardo Favaretto a Fabrizio Starace
L’organizzazione dei servizi per la salute mentale è un tema connesso alla nascita stessa della psichiatria moderna. Il gesto fondativo di Pinel, che libera i folli dalle catene e ne stabilisce, contemporaneamente, la competenza al sapere medico-psichiatrico, è il prototipo del cambiamento istituzionale conseguente alla affermazione di principi organizzativi fondati su una visione etico-clinica.
Nei diversi paesi del mondo il dibattito su questo tema si è accompagnato a esperimenti e innovazioni non sempre debitamente ricordati e valorizzati. In Italia gli anni che precedono la legge del 1904 sono attraversati da discussioni sulla necessità di una responsabilità pubblica sugli istituti che accoglievano i malati mentali. Fu uno dei processi di uno stato ancora relativamente giovane che, attraverso riforme come questa, tentava di costruire anche nei costumi e nelle regole relative all’accudimento dei folli l’unità nazionale.
Già allora gli psichiatri discussero, prima e dopo la legge, sul nome da darsi ai manicomi, su come dovevano essere organizzati, se in grandi istituzioni per tutti o se differenziati in funzioni e strutture.
Con ritardo su quello che è successo negli altri paesi d’Europa a partire dagli anni ’60, nel 1978 ci fu il grande cambiamento: la riforma che portò alla chiusura dei manicomi. Si partì dal blocco dell’accesso alle grandi istituzioni per affermare la scelta del “territorio” come contesto nel quale organizzare un sistema per la salute mentale. Il sistema dei Servizi per la salute mentale in Italia negli anni ‘90 e nel 2000 ha cominciato poi a predicare i principi della “psichiatria di comunità”. Unico sistema al mondo a farlo, e a continuare tutt’oggi, senza manicomi.
Già negli anni Novanta i due progetti obiettivi nazionali pe la salute mentale definirono il modello del Dipartimento di Salute Mentale il cui acronimo, DSM, è divenuto via via sempre più familiare per i servizi pubblici per la salute mentale collocati nelle aziende sanitarie (o socio-sanitarie laddove hanno mantenuto questa caratteristica).
La regionalizzazione dei sistemi sanitari e la tendenza a creare aziende sanitarie di grandi dimensioni non sembrano avere particolarmente giovato alla funzionalità dei DSM che ad oggi presentano fisionomie istituzionali abbondantemente diverse nel territorio nazionale, differenti livelli di performance e di qualità, principi organizzativi e valoriali difformi.
Fabrizio Starace è uno psichiatra direttore di un DSM, quello di Modena, che comprende, come tutti in Emilia Romagna, anche i servizi dipendenze ed età evolutiva – così come non è per molte altri luoghi d’Italia.
Recentemente nominato membro del Consiglio Superiore di Sanità, come testimonia la sua produzione scientifica rappresenta oggi uno dei principali interlocutori in Italia in tema di organizzazione dei servizi psichiatrici. A questo si aggiunge la sua esperienza di Presidente della Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica (SIEP). La SIEP è stata, fra altro, particolarmente attenta alla lettura e all’esame di dati delle attività dei DSM così come escono dai rapporti ministeriale sulla salute mentale riferiti agli anni 2015 e 2016 e su cui ha prodotto alcuni volumi scaricabili liberamente dal sito.
L’intervista integrale è disponibile qui.