A Gorizia, nel nome di Basaglia: di poesia, cibo, condivisione
A Gorizia oggi alle 17, alla Fondazione Carigo di via Carducci, presentazione del libro “Mani in pasta” del Centro di salute mentale Alto Isontino.
I sogni, spesso, scompaiono con il risveglio. A volte invece trovano, nello spazio del risveglio interiore, nel lampo della visione, un terreno adatto a farli diventare fiori colorati ma dalla breve vita oppure alberi dai lunghi rami che si spingono dentro i cieli di anni, secoli, millenni. I sogni di Basaglia, come certe piante che crescono tra le fenditure della pietra di dirupi abissali, sono arrivati molti anni fa in una terra difficile, dal suolo indurito dal sangue di migliaia di giovani e dal gelo di confini irreali, com’è quella di Gorizia. E tenacemente, da allora, sferzati dalla pioggia e dai venti dei pregiudizi, dei luoghi comuni, hanno iniziato a crescere e fiorire. Alcuni di quei semi luminosi non sono riusciti ad attecchire. Altri, ancor oggi, producono – a distanza di quarant’anni e più – germogli meravigliosi, impensati. La scoperta di queste nuove, incantevoli realtà è nata per me durante una serie di incontri che si sono tenuti nel Parco Basaglia, intitolati, “Percorsi di-versi”, organizzati dai gruppi AMA e dal Collettivo Linea di Sconfine con la collaborazione dei poeti Giovanni Fierro e Francesco Tomada. Una serie di incontri all’aperto, nel segno della leggerezza e della condivisione, tra i raggi di sole filtrati dagli alberi, dove alcuni tra i migliori poeti del Triveneto da due anni donano un po’ del loro tempo e le gemme preziose dei loro testi ad un pubblico sempre attento, dove si mescolano senza distinzione cultori della poesia e persone con più o meno forti problemi di disagio, in quella sorta di allergia della realtà – spesso più che giustificata – che è il malessere psichico. Alla fine di ogni incontro, poi, ognuno può leggere se lo desidera i suoi testi: sfoghi, pensieri, versi perlopiù non nati per essere pubblicati quanto per dare un volto alle proprie ombre. Ma anche – come mi è capitato di udire con ammirato timore dalla voce tesissima, cupa di un giovane spettatore – lacerti di visioni degne di un William Blake.
Quest’anno, dopo la proiezione di un video di Carmelo Fasolo che raccontava la storia di questi incontri, sono stato invitato a rimanere per quello che, in teoria, doveva essere – temevo – il solito buffet fatto di tartine con maionese, salatini e bottiglie di plastica riempite di liquido giallastro che, del profumato agrume, non conservano, ormai, null’altro che il nome. Lo offriva un gruppo di donne chiamato “Mani in pasta”. Mi resi subito conto di trovarmi proiettato in un’esperienza unica, invece, una gloriosa successione di profumi delicatissimi investì i presenti, sulla volta del palato aromi noti e sconosciuti, passando senza problemi dal dolce al salato, si fondevano assieme senza mai stridere. I volti, le vesti di quelle donne, la discrezione antica con cui portavano brocche d’acqua di rose, limonate alchemiche, parlavano del mondo, dei suoi tanti volti più o meno lontani. Mai uguali, uniti dalla diversità che accomuna ogni cosa. E dalla sacralità del cibo, attraverso cui di giorno in giorno abbiamo la possibilità di vivere, stando attenti a ciò che mangiamo, in comunione con il mondo. La psicologa Corinna Michelin del Centro di Salute Mentale Alto Isontino Integrato, ricorda che si tratta di “donne con percorsi di vita molto diversi tra loro, alcune contattate perché attualmente afferenti al Centro, altre perché familiari o parenti di persone in carico ed altre ancora perché amiche contagiate dall’entusiasmo di quelle che avevano iniziato a partecipare al progetto”. Il dottor Franco Perrazza, direttore del Centro, difatti scrive difatti che non è importante offrire solo cure mediche, partendo dal desiderio di Basaglia di ridare dignità e valore di persona a chi sperimenta questa sofferenza, ma anche “opportunità, occasioni, possibilità, atmosfere, luoghi di scambio, spazi per esprimersi, per essere assieme agli altri, per diventare protagonisti del proprio percorso di cura anche attraverso la partecipazione ad attività sociali e culturali”. Da questa esperienza straordinaria, che continua, è nato un libro bellissimo edito dalla “Libreria Editrice Goriziana” intitolato appunto “Mani in pasta” che verrà presentato a Gorizia, presso la sede della Fondazione Carigo lunedì 23 alle ore 17.00.
Un libro costellato di importanti ed estesi contributi, come quelli di Carlo Petrini, Presidente Internazionale di Slow Food, o Massimo Cirri, psicologo e noto conduttore del programma radiofonico su Rai 2 “Caterpillar”. Un libro di ricette di donne che vivono a Gorizia e nei dintorni. Ma che arrivano dai paesi vicini come dalla Sicilia, dall’Istria, dalla Repubblica Dominicana, dalla Macedonia o dall’Algeria. Ma, ancor più delle ricette, delle foto dei loro sorrisi, delle loro mani intente a preparare con cura i piatti tipici dei loro paesi, colpiscono le loro storie. Che sono storie drammatiche a volte ma, tutte, meravigliose e vere nella loro semplicità e profondità. In cui è impossibile non riconoscere le storie di noi, popolo di emigranti. Scrive Petrini nell’introduzione: “In un mondo che tende all’omologazione, dove la diversità è vissuta come una cosa pericolosa o infruttuosa, è nostro compito ricordare a tutti che la diversità è invece la più grande forza creativa esistente, come la natura insegna grazie ai miracoli che fa in virtù della biodiversità delle specie e delle razze. È con la massima apertura che si realizzano grandi cose, che si costruisce realmente qualcosa di nuovo”.
Kheira, algerina, vive in Italia con la sua famiglia da quasi vent’anni. Ricorda, da vera poetessa, che quando cucina si sente, ogni volta, nascere di nuovo. I suoi versi sono fatti d’acqua di fiori d’arancio, di mandorle e cannella. Ricorda com’è necessario dare importanza a tutto. Capire, a fondo, la realtà in cui ti trovi a vivere. Per questo ha voluto imparare, oltre all’italiano, anche il friulano, la lingua della suocera, del marito. “Bisogna voler imparare!”, dice. Kheira, assieme a tutte le donne di questo progetto, ci ricorda che solo aprendosi all’altro possiamo superare le barriere, portare in alto lo sguardo per guardare oltre. Leggendo queste pagine, dopo un po’, noi non leggiamo più le storie di donne straniere ma quelle delle nostre nonne, mamme, sorelle (ma anche padri!) che trasmettono nei cibi che cuociono tutte le loro speranze, le loro memorie. Impastate, da mani piene d’amore e attenzione, con la pasta dei sogni.
tratto da: http://rebstein.wordpress.com