È capitato che “un giorno sono impazzito”, racconta Alberto Fragomeni che, da quel giorno e da dieci anni attraversa il mondo della cura psichiatrica. Dieci anni di “dettagli inutili” che ha raccolto in un libro. Che solo una matta come Francesca de Carolis poteva andare a scovare. Francesca che conclude, “E sì, aveva proprio ragione Basaglia a sostenere dopo tanto parlare, tanto scrivere, tanto teorizzare, da parte degli psichiatri, è ora che a parlare siano loro, i “matti”… “.
Di Francesca de Carolis
Oggi vi voglio parlare di Alberto… Alberto Fragomeni, che poi “un giorno sono impazzito” …e da dieci anni attraversa il mondo della cura psichiatrica. Dieci anni tutti ora riassunti nei “dettagli inutili” che ha raccolto in un libro.
“Frustrazione, dolore, non so… Ero al limite…” racconta. “E così ho scritto. Quando scrivo divento una bestia… scrivo cose estreme…”. E davvero ho fatto fatica a crederci, che potesse scrivendo diventare ‘bestia’, incrociando dal riquadro del booktrailer del suo libro il suo sguardo dolcissimo.
Così, per capire, due giorni fa, in una mattina l’ho letto. “Inutili dettagli” (collana 180, archivio critico della salute mentale, edizioni alfa beta Verlag).
E sì, aveva proprio ragione Basaglia, a sostenere che dopo tanto parlare, tanto scrivere, tanto teorizzare, da parte degli psichiatri, è ora che a parlare siano loro, i “matti”…
Perché, a confronto, nessun trattato restituisce come le loro parole la carne viva del loro vivere… nessuno sguardo esterno può aprire squarci come quelli che solo la parola di chi attraversa la vita a braccetto del disturbo mentale può svelarci. Togliendoci da sotto i piedi la terra del nostro tranquillo camminare sul sentiero dei luoghi comuni.
“Inutili dettagli”, dunque. Appena t’inoltri nelle prime pagine, è subito un precipitare in una scrittura che procede dimenticando che dopo i punti, all’inizio della nuova frase, ci hanno insegnato a usare la lettera maiuscola. Al primo capoverso pensi sia un errore di stampa, un refuso… Al secondo ti inquieti un po’, al terzo pensi a una provocazione…
Ma poi rivedi lo sguardo mite e mobile di Alberto, dentro la larga montatura dei suoi occhiali, e ti rendi conto, leggendo leggendo, che forse ha ragione lui. Che la vita non può sempre essere imbrigliata nelle convenzioni che abbiamo costruito, che l’esistenza di chi vive l’esperienza del disagio mentale ( ma anche l’esistenza di tutti noi) può scivolare, giorno dopo giorno, senza mai che un punto esiga la maiuscola che indichi la svolta definitiva, il traguardo sulla sponda della normalità. Quando la pausa fra una frase e l’altra è solo il tempo di un respiro… al più il tempo rappreso di un accapo…
Così quella ‘belva’ di scrittore, che è Alberto Fragomeni, già toglie anche a noi il respiro, facendoci precipitare nel vortice dei frammenti “inutili” di una vita scandita dal tempo delle attese, delle sigarette, dei caffè, di volti senza denti, di sigle fino al giorno prima estranee ( Csm, Apdc, Cpsm, Tso…) ora entrate a far parte del lessico familiare, di estranei che “vivevano assieme perché costretti dalla disperazione”.
“molte cose- dice Alberto- si sono scritte da sole, e sono quelle che mi hanno fatto soffrire di più”.
“…e corri ad accendere i caloriferi… è come se il malato psichiatrico avesse freddo nell’anima, come se la solitudine della sua esistenza gli avesse congelato il cuore, e il calorifero l’unico possibile surrogato di un corpo amico”…
“io sono borderline, e tu?” “schizoaffettiva” “Sei mai stata in spdc?” “sì” “ ti hanno legata?” “no” “a me si”…
Non so quale sia esattamente il disturbo di Alberto, e non m’importa. Più m’importa che si sveli scrittore, di un narrare bellissimo.
Di pagina in pagina ci spiazza, addolora, stranisce, fa sorridere… sì, fa molto sorridere… che il suo registro è quello dell’ironia. Dall’ironia, scriveva Hugo, comincia la libertà.
Ed è davvero libero, Alberto Fragomeni, se riesce a guardarsi, guardarci, e scrivere che “impazzire è la cosa più intelligente che avessi mai fatto”, o sorprendersi a “dialogare con i suoi curanti, con un tono quasi da collega, e a parlare della malattia come qualcosa di ovvio”, o concludere, dopo aver cercato risposte nelle religioni orientali che indicano il sentiero dell’illuminazione… “come praticante ammetti che stai tentando di diventare un dio, cioè ammetti da subito che sei pazzo, e che la religione è follia”.
Ma con quei suoi occhi che pure sorridono, dietro le larghe lenti, Alberto Fragomeni ci indica anche il limite sul quale siamo pericolosamente affacciati noi tutti… e racconta della ragazza che, investita da un’auto, si alza e va via, meccanica, senza alcuna reazione, senza voler ammettere il dolore, ragazza nella quale “con un brivido rividi la stessa anima nera che avevo anch’io alla sua età, quel misto di rabbia odio e tristezza, che totalmente negati di lì a poco mi avrebbero portato alla catastrofe”.
Guardate il volto di Alberto, dalla pelle così chiara, diafana, che sembra sia lì lì per dissolversi nella trasparenza, e leggete… capirete tante cose. Capirete soprattutto come la più grande prigione che imbrigli le persone alla fine siamo tutti noi, incapaci di vedere. Fa sorridere e dà angoscia la pagina in cui racconta di un giorno che è andato a visitare un amico in uno spdc (servizio psichiatrico di diagnosi e cura).
Difficile in quegli anni per lui distinguersi dai ricoverati, il timore che ne ha forse gli si legge in viso… E mentre sta per varcare la soglia “un infermiere con le chiavi in mano mi si parò davanti e mi domandò: e tu dove credi di andare? “
Episodio terribile ed emblematico, come fa notare nella prefazione Massimo Cirri, che si chiede se si tratti di cecità istituzionale: il vigilante che vigila e non vede!
Fa il paio con lo psichiatra, “poliziotto cattivo”, che “a mala pena si ricorda di te, e ti ascolta distrattamente, come se gli facessi perdere tempo con dettagli inutili, mentre lui invece è impegnato ad arrivare in fretta alla decisione migliore per il tuo caso”.
Tantissimi “dettagli inutili”… come fotogrammi di pellicola qui compongono il filmato di dieci anni di vita, e forse non è un caso che Fragomeni all’università abbia studiato di cinema.
Capirete, leggendo, che “impazzire è come attraversare lo specchio, nulla cambia, eppure tutto è alla rovescia”… dove ci si sente “sano tra i malati e malato tra i sani, e stare lì a riflettere, nella tua condizione specchiante, come in attesa di un proiettile vagante che ti mandi in frantumi”.
C’è un maestro “di enigmatiche verità” che nel suo cammino Alberto incontra. Ed è il dottor F ( le persone sì, sono maiuscole), che “fra le tante paure è riuscito a frapporre davanti ai miei occhi il mio vero nemico, il nemico di tutti gli uomini, la paura della morte… e quindi la vita diventa alleata e non più avversaria, alleata, nella lotta per allontanare la morte”. Ecco, una delle tante cose che questo libro, qualora l’avessimo dimenticato, può ricordare a tutti noi…
(da Remocontro: http://www.remocontro.it/2016/11/20/dettagli-inutili-un-giorno-impazzito/)