Egregio Direttore (della Nuova Venezia, ndr)
abbiamo atteso alcuni giorni prima di inviare questa nostra perché ci è parso che qualsiasi parola, lettura, prospettiva intorno all’omicidio di Nelly Pagnussat, la donna uccisa a Mestre dal vicino di casa (vedi l’accaduto), suonasse oltraggiosa di fronte al dolore sconfinato dei suoi familiari nel tempo stretto dell’emergenza e dell’impatto emotivo che ha provocato su ciascuno di noi. Ci è parso che le parole urlate, il bisogno di dire in fretta, di invocare ragioni e sentenze sommarie rispondessero più al tentativo di ogni parte di prendere distanza e di sottrarsi, che al bisogno di interrogarsi sull’ accaduto e su quello che, come comunità, mettiamo in atto per ridurre al minimo la possibilità che fatti di questa natura accadano.
Ci decidiamo ora a farlo in nome delle battaglie che, come Forum Salute Mentale e Comitato Stopopg, da sempre ci vedono impegnati sul fronte del riconoscimento dei diritti civili anche di chi commette reato. E tra i diritti civili, c’è quello di essere riconosciuti come responsabili dei propri gesti e dunque imputabili e processabili per ciò che si è commesso: la presunzione del disturbo mentale non è mai sufficiente a sottrarre alla persona la responsabilità del suo agire, a cancellarne per intero la soggettività e la possibilità di scelta. Per questo pensiamo che chiunque commetta un omicidio, debba comunque venir processato e, se colpevole, scontare la sua pena E’ noto infatti che la correlazione tra sofferenza mentale e pericolosità (che aprirebbe strade diverse da quelle della condanna e della pena) è priva di ogni fondatezza scientifica. Se si pensa che la percentuale di coloro che commettono reati tra i “sani di mente” è decisamente superiore a quella di chi soffre di disturbi mentali, si coglie immediatamente il pregiudizio e la sua infondatezza. Eppure è questo nesso a venire assunto e invocato come “dato” e inequivocabile evidenza. E’ questo nesso a legittimare la pretesa di interventi preventivi di controllo sociale e di custodia centrati sulla presunta pericolosità degli individui. Ma queste pretese nulla possono avere a che fare con la cura che è prima di tutto, riconoscimento e restituzione del diritto. Ogni volta che una persona, di cui si presume un disturbo mentale, compie un reato ci si preoccupa subito di sapere se assumesse regolarmente i farmaci e se vi fosse qualcuno o qualcosa in grado di garantire il pieno controllo su di lei. Ci si preoccupa cioè di invocare luoghi e dispositivi che estromettano dal contratto sociale e dalla nostra percezione questa persona, anziché pensare che essa debba rispondere dei gesti che effettivamente compie, e non prima, in una reclusione preventiva per mano sanitaria e in nome dell’eventualità che possa compierli, come peraltro potrebbe compierli chiunque altro.
Nel discutere la sorte dell’uomo che ha ucciso Nelly Pagnussat, autore di altri reati e poi di un omicidio e ben conosciuto dai tribunali e dalle forze dell’ordine, dobbiamo attendere che il processo decida quale condanna comminargli. Che pensiamo non possa essere che il carcere, e le cure in carcere di cui eventualmente avrà bisogno. Senza escludere nel tempo possibili alternative riabilitative. Internamenti neomanicomiali non vorremmo augurarli proprio più a nessuno.
Anna Poma
Per il Forum Veneto Salute Mentale e Comitato Stopopg