Questo pezzo del 18 Dicembre pubblicato su quotidianosanità.it, a firma di eminenti psichiatri ci sembra riaprire la secolare questione: ma abbiamo riflettuto davvero su cos’è la psichiatria?
“Chiusura OPG. Benissimo ma gli psicopatici non possono stare nelle nuove REMS.”
Questi pazienti hanno bisogno di un percorso differenziato che non è identificabile nell’attuale strutturazione delle Rems, ma presentano peculiarità che per sicurezza e coerenza trattamentale non sono allo stato realizzabili nelle strutture residenziali.
18 DIC – Con l’attuazione della legge 81/2014 si è proceduto alla pressoché definitiva chiusura dei famigerati Ospedali Psichiatrici Giudiziari. La riforma, nonostante timori e perplessità legate a pregiudizi e a mancanza di precedenti analoghi nel mondo, ha avuto un sostanziale successo dal momento che il numero degli internati si è rapidamente ridotto, passando da 1200-1300 persone a 300-400 persone in pochi anni. Tenendo conto delle difficoltà che questo processo ha comportato e comporta, si può affermare che si è riusciti a ridurre notevolmente una situazione di sostanziale iniquità che si era generata in Italia dopo la L. 180 con la chiusura dei manicomi civili.
L’attuazione della L. 180 ha, peraltro, comportato un lasso di tempo molto maggiore, dal momento che per la chiusura dei manicomi civili si partiva da una popolazione di circa 100mila internati. Dopo la legge 180 e per oltre 30 anni, però, nella stragrande maggioranza dei casi i malati di mente autori di reato e valutati non imputabili erano inviati negli OPG, affidati quindi a un sistema sanitario completamente autonomo rispetto a quello nazionale nel quale i manicomi civili erano stati progressivamente chiusi. Questa situazione produceva una incredibile sperequazione tra malati di mente, dove pazienti molto gravi erano spesso “dimenticati” negli OPG anche per periodi di tempo inaccettabilmente lunghi. I Dipartimenti di Salute Mentale manifestavano uno scarso interesse ad assorbire questi pazienti, né esisteva una effettiva integrazione tra sistema sanitario nazionale e penitenziario.
Dobbiamo alle norme europee il superamento di questa condizione dal momento che l’Unione Europea aveva più volte ribadito il diritto per i cittadini di un paese ad avere lo stesso trattamento sanitario e già durante il governo D’Alema vi era stato un tentativo in tal senso. Il Dpcm 14.2008 e le successive norme hanno avuto l’innegabile merito di far sì che si sviluppasse una attenzione diversa a questi pazienti e, finalmente, i Dipartimenti di Salute Mentale hanno manifestato un interesse più attivo per questi soggetti, pur con comprensibili difficoltà e perplessità. Ovviamente il nostro legislatore non è stato capace di effettuare un’opera di revisione integrale delle norme, anche perché ha agito su una pressione esterna ed il Codice Penale, negli articoli che riguardano la pericolosità sociale, non è stato sostanzialmente modificato, se non per degli aspetti introdotti dalla L. 81/2014, per i quali nel giudizio di pericolosità sociale il giudice non può più tener conto dei fattori socio economici e dove si afferma che la misura di sicurezza detentiva non può superare il massimo della pena edittale.
Per cui, in questa situazione di stratificazione disordinata di disposizioni legislative derivanti da filosofie eterogenee, allo stato delle norme, una persona, che è riconosciuta affetta da una condizione di “infermità mentale” tale da escludere o ridurre grandemente la capacità di intendere o di volere ed in presenza di rischio di recidiva, è abitualmente avviata alla misura di sicurezza della libertà vigilata; in certi casi laddove il rischio di violenza o reiterazione sia molto elevato, è internata in una REMS (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza), ovvero ristretta in una forma di trattamento comunitario di durata (in teoria) il più possibilmente breve, finalizzato ad una stabilizzazione di una condizione psicopatologia severa e all’inserimento in altri regimi trattamentali meno afflittivi rispetto alla limitazione della libertà personale. Le REMS sono istituzioni del Ssn, gestite in toto da operatori sanitari, e dove non vi è personale interno di polizia penitenziaria. Alle prefetture, con una formula generica, è affidata la vigilanza esterna, verosimilmente per impedire le evasioni.
Il sistema è pensato per una popolazione di pazienti psichiatrici gravi, che si ritiene di poter identificare in pazienti affetti da una qualche forma cronica di psicosi, schizofrenia, gravi disturbi bipolari e disturbi schizoaffettivi. Purtroppo, la popolazione dei non imputabili include anche pazienti con grave ritardo mentale, dementi iniziali, pazienti con sindromi psicorganiche e gravi disturbi di personalità. Per le prime tre categorie di soggetti di solito sono concepibili collocazioni alternative presso strutture specializzate per questo tipo di patologie.
Un discorso a parte, invece, meritano i gravi disturbi di personalità. Nel dopoguerra e fino al 2005, vi è stato un serrato dibattito tra gli esperti del settore rispetto all’imputabilità dei pazienti con gravi disturbi di personalità, dal momento che spesso queste persone vanno incontro a scompensi psicotici che, poi, trattati regrediscono. La Psichiatria Forense classica ha sempre considerato che le personalità disturbate erano imputabili, anche se potevano esistere condizioni nelle quali si poteva sviluppare uno scompenso psicotico nell’ambito del disturbo di personalità. Nel 2005 la Corte di Cassazione a Sezioni Riunite, con la sentenza cosiddetta “Raso” (9163/2005) ha stabilito che quando un disturbo di personalità è di tale “consistenza, intensità, rilevanza e gravità” da incidere concretamente sulla capacità di intendere o volere, anche i gravi disturbi di personalità possono essere giudicati non imputabili, qualora esista un nesso di causalità tra il fatto reato e la condizione psicopatologica. Purtroppo, la Suprema Corte non ha stabilito che, qualora un disturbo di personalità grave vada incontro ad uno scompenso psicotico ed in questa condizione (psicotica) la persona compia un reato causalmente collegato alla sua psicopatologia allora il soggetto vada qualificato come non imputabile, ma solo che quando il disturbo di personalità è molto grave allora la persona può essere giudicata non imputabile.
Ciò ha dato luogo ad un crescendo di accessi alle misure di sicurezza di persone che sono affette da gravi disturbi di personalità, di solito borderline, antisociale paranoideo o schizotipico, ma dove vi è, simultaneamente anche un rilevante aspetto psicopatico. Per giunta, va osservato che la psicopatologia in generale ha subito negli ultimi 20 anni un mutamento sostanziale in buona parte legato alla ampia diffusione di nuovi tossici esogeni di abuso. Va anche rilevato che non vi sono limitazioni, sotto il profilo naturalistico, al fatto che una persona affetta da schizofrenia abbia anche una organizzazione di personalità psicopatica, sebbene sia un evento non molto frequente.
Con “psicopatia” si vuole qui intendere un insieme di tratti personologici che rendono il soggetto intollerante alle regole, manipolativo, proteso ad utilizzare gli altri strumentalmente, spesso freddamente violento o abusante, mentitore, irrefrenabile, autoritario e prevaricatore se non addirittura tirannico. La condizione è molto complessa, ma quando si associa ad una storia di vita caratterizzata da devianza e malattia mentale è sostanzialmente intrattabile. In effetti i dati della letteratura scientifica indicano che ad oggi nessun trattamento né farmacologico né psicoterapeutico è efficace sui disturbi antisociali di personalità. Nessun trattamento modifica la psicopatia. A volte si associano anche parafilie. Questi soggetti costituiscono, allo stato, circa il 20-30% degli utenti REMS.
Se si guarda all’Europa e al resto del mondo i posti letto dedicati o specializzati per il trattamento dei pazienti “forensi” sono circa 1 ogni 15mila abitanti: la gran parte dei posti sono in realtà strutture a bassa o a media sicurezza, case famiglia inserite nei programmi forensi, ovvero situazioni che sarebbero agevolmente gestibili sul territorio con misure trattamentali ordinarie da parte dei DSM. Circa il 20% dei posti sono, invece, in ospedali ad alta sicurezza, e nella fattispecie sono dedicati proprio a pazienti psicopatici o con gravissimi disturbi della personalità.
Le REMS per come sono concepite sia a livello strutturale che organizzativo corrispondono al massimo a strutture che universalmente si definiscono a sicurezza intermedia (medium security).
Lo schematismo giuridico che ha condotto all’attuale situazione della gestione dei pazienti psichiatrici non appare essere stato concepito per la sottopopolazione di pazienti con malattia mentale e psicopatia la cui entità numerica non è agevolmente stimabile, ma riteniamo non inferiore alle 100-200 persone le quali, tuttavia, sia il sistema sanitario sia quello giudiziario si troveranno a dover gestire.
Queste persone non trovano una collocazione adatta nelle REMS: sono intolleranti alle regole, minacciosi e oppositivi verso il personale, spesso entrano in conflitto con gli altri degenti, i quali sono esposti al rischio di violenza da parte di questi soggetti, cercano di evadere o più eufemisticamente di allontanarsi, o di introdurre sostanze o altro nelle REMS e non hanno una effettiva prospettiva di cura. L’alta intensità assistenziale prevista nelle REMS non ha, come già evidenziato, alcuna efficacia per questi soggetti
Sarebbero meglio gestiti in ambiente penitenziario o in strutture apposite, come avviene in quasi tutta Europa. Da noi, tuttavia, anche per l’irrefrenabile desiderio di porre termine rapidamente ad una situazione di palese ingiustizia rispetto a pazienti dimenticati negli OPG si è negato il problema e comunque non è possibile, allo stato attuale delle norme, inviare una persona in misura di sicurezza detentiva in carcere (né viceversa). La attuale normativa non prevedendo alcuna struttura ad alta sicurezza, ha stabilito che tali pazienti nel nostro paese non esistono, anche se sarebbe sufficiente una presa d’atto di alcuni fatti di cronaca per capire che invece, anche se scarsamente numerosi, queste persone costituiscono un potenziale devastante per la sicurezza pubblica con serio rischio di allarme sociale e possibile mutamento dell’opinione pubblica rispetto a queste problematiche.
Questo sottogruppo di persone non deve essere minimizzato per i suoi possibili effetti negativi. Le condotte di queste persone fanno sì che gli operatori siano prevalentemente impegnati su questi soggetti che sono anche quelli che hanno meno possibilità di riabilitazione. Provocano incidenti che hanno un effetto profondamente stressante sugli altri pazienti e sul personale. Creano un clima di insicurezza e minacciosità e tendono a intimidire e a esporre a violenza personale proprio quei pazienti affetti da patologia psichiatrica grave che proprio la attuale riforma voleva tutelare.
Peraltro, proprio per via della cronicità di condotte eteroaggressive e per una storia di devianza, vi è da parte dei Magistrati una maggiore tendenza a determinare la misura di sicurezza detentiva per queste persone. Vi è il concreto rischio che ogni singolo modulo di REMS si trovino ad ospitare contemporaneamente 3-4 persone di tal fatta con evidente messa in crisi del sistema.
Comunque sia, di fatto, queste persone ripropongono in pieno il problema della cronicità delle condotte aggressive che, invece, si voleva superato dall’insieme di norme che hanno condotto allo smantellamento degli OPG.
Se non si vuole rischiare di far fallire l’intero progetto di chiusura dei manicomi criminali, certamente encomiabile, va riconosciuto che vi è un sottogruppo di persone, piccolo, verosimilmente ancora più piccolo dei posti effettivamente progettati per le REMS, che non è gestibile in un trattamento comunitario dove non siano stabilite regole ipercoerenti, un sistema di controllo e protezione ovvero vi sia una effettiva sicurezza all’interno della struttura, con la consapevolezza che si ha a che fare con una piccola categoria di persone affette da malattia mentale grave che, purtroppo, sono anche cronicamente violente e per le quali non abbiamo trattamenti efficaci, ma dove al massimo possiamo sperare di ottenere una remissione degli aspetti maggiormente problematici tramite un rigido apprendimento di regole chiare e inderogabili. Sinteticamente questo concetto può essere tradotto con struttura ad alta sicurezza e ad alta sorveglianza.
Personalmente riteniamo che le REMS siano effettivamente necessarie ma non nella dimensione nella quale sono attualmente stimate: i pazienti psichiatrici privi di aspetti psicopatici possono agevolmente essere gestiti sul territorio e in comunità, presentando un rischio di recidiva molto basso qualora adeguatamente e continuativamente trattati.
I pazienti psichiatrici gravi con un rilevante aspetto psicopatico hanno bisogno di un percorso differenziato che non è identificabile nelle attuale strutturazione delle REMS, ma presentano peculiarità che per sicurezza e coerenza trattamentale non sono allo stato realizzabili nelle REMS.
Anche in questa occasione, non si può fare a meno di notare che si è molto insistito sulla abolizione di una istituzione (l’OPG) che effettivamente era fuori dal concetto di riabilitazione e cura, ma non si è tenuto in alcun conto che l’evidenza scientifica, della realtà clinica e dello stato delle norme, insieme di concetti — che dovrebbe sempre guidare le nostre scelte in ambito sanitario — già aveva evidenziato con esperienze pluriennali che dimettere i pazienti dagli OPG è possibile, evitare la reiterazione del fatto reato è ipotizzabile attraverso percorsi di trattamento intensivo sia residenziale che territoriale di lungo termine. Per fare questo non basta abbattere ideologicamente una Istituzione ma creare una rete altamente specializzata di assistenza che garantisca il miglior trattamento possibile (farmacologico, riabilitativo psicoterapeutico) a quegli utenti che a causa della gravità della malattia e, a volte della inefficacia delle cure routinariamente erogate, hanno commesso un reato.
In Italia la rete post Rems è affidata allo standard offerto dalla residenzialità per la gran parte privata già sovrabbondante in ambito psichiatrico, e vi è il rischio di popolare le Rems, altamente specializzate e costose, di utenti per i quali il trattamento concepito nelle stesse Rems non ha alcun effetto.
Sarebbe opportuno che, al di fuori di ideologismi sclerotizzati, si desse atto che se si vuole portare a termine il processo di chiusura dei manicomi, vanno riconosciute specifiche eccezioni che, per fortuna sono rare, ma comunque esistenti.
Massimo Biondi, Ordinario di Psichiatria Università la Sapienza Roma
Paolo Boccara, Direttore DSM ASL Roma B
Giulio Corrivetti, Direttore UOC UOSM DS68 ASL Salerno
Massimo Digiannantonio, Ordinario di Psichiatria Chieti
Stefano Ferracuti, Professore Associato Psicologia Clinica,
Giuseppe Nicolò, Direttore DSM e REMS ASL Roma G
Rinaldo Perini, Direttore UOC DSM G1 G2 Asl Roma G
Enrico Pompili, Direttore UOC DSM G5 G6 Asl Roma G
Marco Vaggi, Direttore DSM ASL 3 Genovese
Franco Veltro, Direttore DSM Campobasso