Sento il bisogno di dire alcune cose legate al primo incontro con te, all’apertura di un dialogo che percepisco come assolutamente impossibile chiudere.
La tua immagine pubblica ti ha preceduto, perché ti ho conosciuto, prima che di persona, tramite un tuo breve scritto, che mi è piaciuto, e perché spesso ho sentito parlare di te – da tanti che compongono il nostro comune ambito d’azione – quale persona intelligentemente impegnata ed attiva, a vari livelli teorici e pratici, sul fronte dell’emancipazione dallo stigma e per la tutela dei diritti, nella ricerca di una salute possibile e condivisibile: un nuovo prezioso punto di riferimento collettivo che sono stata molto curiosa di poter incontrare.
Ci siamo poi frequentati e confrontati non moltissimo, ma quel tanto che a me è bastato per identificarti come un naturale alleato esistenziale, e mi autorizzo a pensare, non credo a torto, che sia stato così anche per te.
Un pomeriggio, durante un corso di yoga, alla palestra EMMEGYM del padiglione “M”, nel parco di San Giovanni; la sala gremita da donne: c’è un gruppetto di soli tre uomini, molto simpatici perché, fuori dal prosaico stereotipo della celebrazione muscolare mascolina, considerano, con disinibita e disinvolta tolleranza verso se stessi, le proprie difficoltà ginnico-atletiche.
Uno lo conosco già e so che fa parte della POLISPORTIVA FIORIC’ENTRO, l’altro non mi ricordo chi fosse, il terzo sei tu.
Finalmente ti riconosco: ti ascolto e ti guardo attentamente.
Snello e gentile, assorto e solerte, discreto. Somigli a un uccello rapace che si muove cautamente vigile su un terreno pesante. Sotto una corta e curata zazzera nera , mi appare, contornato da pensose occhiaie, il lampo del tuo sguardo magneticamente chiaro e penetrante, a tratti vagamente perplesso e quasi meravigliato, riflessivo e pronto ad accogliere la richiesta, contemporaneamente volto a vari piani, spessori e prospettive di discorsi e idee.
Uno sguardo che mi fa forse sentire solo una banale contingenza, ma che mi riconosce fermamente, corredato da inaspettati, amichevoli e consolanti sorrisi – che paiono sfuggirti – rassicuranti, confidenziali, allusivi a solidarietà propositive.
Approfittiamo a volo per discutere di un’eventuale collaborazione fra EMMEGYM e POLISPORTIVA. Apprezzo il tuo entrare nel merito con cognizione di causa, visione ampia e disponibile apertura; il modo perentorio ma garbato con cui sottolinei alcuni limiti reali; il composto, consapevole e fattivo entusiasmo per un qualcosa che ha comunque senso tenere bene in considerazione. Mi dai un’impressione elastica di grande serietà e nessuna prosopopea. Mi convinco che con te può essere facile camminare assieme.
Mi chiedo di cosa è fatto il terreno pesante su cui ti muovi, ma non m’importa molto entrare nei particolari perché so che c’è qualcun altro con cui di questo discuti, e perché so che è lo stesso terreno di tutti, su cui spesso ci si muove, da soli o in compagnia. Quello che conta è se si vuole provare ad attraversare cercando un senso accettabile. E noi comunque ci siamo spontaneamente accettati a vicenda. Ho la netta sensazione che né tu né io sentiamo il bisogno di suggellare con stratificazioni di ulteriori parole un patto che è già germogliato.
Da questa reciprocità ho avuto in dono la bellezza e la bontà gratificante di un’appartenenza che non lascia orfani, ma che, a priori e a prescindere, ribadisce e sancisce il valore dei significati perseguiti comunemente.
Ciò, purtroppo, non impedisce di trovarmi desolata di fronte all’inaccettabilità di determinate, apparenti o sostanziali, distanze, di cui obbligatoriamente ciascuno, con profondo riconoscimento e rispetto del proprio e dell’altrui dolore, si deve prendere carico.
Se penso alla difficoltà di sopportazione di tale carico, senza il complice conforto di sguardi, parole, e gesti d’intesa come quelli, generalmente fuggevoli ma eloquenti, che ci siamo scambiati – e di cui ti sono indelebilmente grata – tutto mi sembra inaffrontabile; non trovo nessi, etiche o saperi che tengano il confronto con l’ineluttabile contraddittorietà dell’esistere.
Credo, altresì, amabilissimo compagno di viaggio, che, in virtù di una forza, per me inconoscibile – che anche tu mi hai trasmesso e conferito – tenterò di campare onestamente e dignitosamente, tenendoti a me, a noi comunque presente.
Con grande ammirazione e affetto, ti ringrazio.
Trieste, 23 ottobre 2015