di Erika Cei.
Si è conclusa la tre giorni di “Impazzire si può“, convegno che ha avuto luogo presso il Parco culturale (ex o.p.p.) di San Giovanni a Trieste e ha visto protagoniste associazioni e persone con “esperienza del disagio mentale”, nello specifico gli utenti stessi, i familiari, gli operatori del settore (educatori, volontari, assistenti sociali, infermieri, psicologi, psichiatri, etc…).
Promosso dal Dipartimento di Salute Mentale – ASS1 Trieste, con il patrocinio della Provincia di Trieste, l’evento è stato organizzato dal Gruppo di Protagonismo “Articolo 32”, dal Laboratorio Hubility e dalle associazioni e cooperative sociali triestine: “NadirPro”, “Oltre Quella Sedia”, “Club Zyp”, Polisportiva “Fuoric’entro”, “Franco Basaglia”, “Luna e l’altra”, “Arià”, “AFASOP/Noiinsieme” (aderente all’UNASaM), Coop. Lavoratori Uniti Franco Basaglia, Posto delle Fragole, La Collina, Cassiopea, Confini, Lister, Agricola Monte San Pantaleone, Duemilauno Agenzia Sociale, La Melagrana, Consorzio Interland, in collaborazione con il Forum nazionale Salute Mentale.
Tre (più una conclusiva) le agorà che hanno animato la manifestazione: Supporto tra pari: “SEPE”?, “ESP”? “ES.CO.”?, “UFE”?, “Facilitatori sociali”?; Immaginare per rifare: i movimenti alternativi di lavoro e considerazione del denaro; Istituzioni e protagonismo: come mantenere il campo aperto della contraddizione.
Suddivise in gruppi di lavoro, le agorà hanno permesso al nutrito numero di partecipanti di affrontare e di confrontarsi su numerose tematiche. Per motivi di sintesi mi permetto di citarne, in modo disordinato, solo alcune: il peer support (cioè il supporto fra pari, fra utente ed utente), l’esperienza francese (dove è stato istituito un corso professionale che consente di operare nel settore con una specifica qualifica), la sperimentazione in corso a Trento, dove l’utente, previa formazione, svolge un’attività retribuita, affiancato da un operatore; il lavoro, la cooperazione sociale e le difficoltà in cui versa a causa della crisi economica, la crescita della domanda, la mancanza di fondi, la situazione dei lavoratori impiegati; la spinosa questione della chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, la legge 81/2014; il tema della “recovery” (guarigione) nel senso della ricostruzione di una vita degna di questo nome, nonostante la “malattia”, il ruolo dei servizi di salute mentale e l’inclusione lavorativa e sociale, indispensabili in questo contesto.
Nel corso del convegno, e come parte integrante delle tre agorà, sono stati organizzati diversi laboratori teatrali, a cura di Fabrizio Maurel, l’associazione Stammh Theater, il Club Zyp, il centro diurno “La voce della luna” di Roma, il centro diurno di Aurisina. Inoltre, sempre in ambito teatrale e nel corso dell’agorà “Istituzioni e protagonismo” si è esibito il gruppo teatrale triestino “Oltre quella sedia” con un’ottima performance, sintetica e coinvolgente, sul tema della chiusura degli OPG.
In contemporanea si è svolto il “Raduno nazionale delle radio per la salute mentale”, che ha visto la partecipazione di una trentina di redattori, deejay e speaker, impegnati in dirette radio e interviste, in rappresentanza di Radio Fragola, Radio Fuori Onda, Radio Liberamente, Radio Ohm, Radio Senza Muri, Radio Tana Libera, Radio Stella 180, Radio Ueb.
Il convegno è stato indiscutibilmente un’occasione di incontro, di confronto, di dibattito e discussione per i molti che vi hanno preso parte. E’ stato però un evento confinato agli “addetti ai lavori” con scarsissima (oserei dire nessuna) partecipazione da parte della collettività. Eppure, le occasioni per quest’ultima non sono mancate, come ad esempio la performance STOP OPG di “Oltre quella sedia”, le porte aperte del programma radiofonico “Escuchame”, la presentazione della collana 180 da parte di Peppe Dell’Acqua, con lettura di una serie di brani tratti dai volumi finora pubblicati; la presentazione del libro “Restituire la soggettività – Lezioni sul pensiero di Franco Basaglia”, di Pier Aldo Rovatti, con l’intervento dell’autore stesso.
Quali dunque le ragioni della mancata partecipazione della cosiddetta “società civile”? Il convegno è pensato solo per addetti ai lavori? Non è stato sufficientemente pubblicizzato? Le persone che godono di “buona salute mentale” non hanno ben chiaro il concetto che “impazzire si può” davvero e, per tale ragione, non sono interessate all’argomento?
Pongo questi interrogativi non certo per la necessità di esaurire le scorte di inchiostro virtuale, né tantomeno per fomentare polemiche sterili, ma per la semplice ragione che in questi giorni si è parlato molto di inclusione e integrazione sociale e mi chiedo come tale integrazione possa di fatto realizzarsi senza la partecipazione della società civile, cioè il contesto da cui le persone che soffrono di “disagio mentale” provengono e in cui dovrebbero essere re-inserite. Ritengo altresì che una maggiore sensibilizzazione alle problematiche della salute mentale non sia solo opportuna e doverosa, ma necessaria, considerato l’aumento della domanda (come evidenziato nel corso del convegno) e la costante e progressiva riduzione, a partire dagli anni ’90, delle risorse pubbliche destinate all’assistenza, con la conseguente e inevitabile riduzione dei servizi e della qualità degli stessi.
Trieste, 28 settembre 2014
(Dal blog dell’autrice: http://photofrasando.blogspot.it/2014/09/impazzire-si-puo.html)
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