Interrogazione-choc del deputato del Pd Arancio (nella foto): “Decine di malati psichiatrici sono ricoverati nelle Comunità terapeutiche ben oltre il limite stabilito dalla legge. I privati considerano i pazienti come una proprietà che produce reddito”. Ogni ricovero costa 50 mila euro l’anno. Il volume d’affari complessivo in Sicilia è di circa cento milioni.
PALERMO – Stanno lì da tempo. Ben oltre il limite dei quattro anni e mezzo stabilito dalle norme. E intanto, il sistema sanitario, per ciascuno dei malati psichiatrici siciliani sborsa alle Comunità terapeutiche una cifra annua di circa 50 mila euro. Una spesa complessiva che supera i cento milioni l’anno. Un quarto dei quali, euro più, euro meno, erogato per la cura di pazienti che in quei Centri non dovrebbero più stare. Pazienti che dovrebbero tornare a casa. O, nei casi in cui il rientro nel Nucleo familiare fosse impossibile, nelle case-alloggio. Nei luoghi “a bassa medicalità”. Dove la malattia psichica non è più un’emergenza. E dove la spesa per le casse pubbliche è inferiore di almeno la metà.
Ad alzare il velo sulla condizione dei malati psichiatrici in Sicilia è proprio uno psichiatra. Che ricopre in questo momento il ruolo di deputato regionale del Partito democratico. Giuseppe Arancio ha presentato una interpellanza-choc al governo, per chiedere di monitorare i casi di malati tenuti nei centri ben oltre la data prevista dalla legge. “Io stesso – racconta Arancio – ho avuto modo di conoscere la storia di un malato di Butera. Era ricoverato in quel centro da 12 anni. Ma esistono – aggiunge Arancio – situazioni assai più gravi. Incredibili. In questi anni mi sono tenuto in contatto con alcuni colleghi psichiatri. In tanti mi hanno raccontato di malati tenuti nei centri per quindici, venti, venticinque anni”. Come fosse un manicomio, insomma. Come se la legge Basaglia non fosse mai stata approvata.
Solo nella provincia di Catania, racconta Arancio, “i casi sarebbero circa 150”. Nella provincia etnea, ad esempio, le comunità affidate ai privati sarebbero ben 16, a fronte di una sola gestita dal pubblico. Lì sono ricoverati oltre 600 malati psichiatrici. Che costano al Sistema sanitario circa 35 milioni di euro l’anno. “E un quarto di questi pazienti – dice Arancio – è lì da sette, dieci anni”. Insomma, lì non dovrebbe nemmeno starci. In tutta la Sicilia, invece, le comunità sono 48. Il numero di pazienti complessivo – dato non ufficiale, ma certamente vicino a quello reale – supera le 1.500 unità. Quasi 400 di questi sarebbero giunti nel Centro più di cinque anni fa. Il giro complessivo del “business” attorno alle comunità supera i cento milioni annui. Un quarto di questi viene erogato per la cura di pazienti che dovrebbero trovarsi in famiglia, o nelle case di accoglienza o di riposo. Dove la spesa per la loro cura è inferiore di circa la metà.
Un racconto che trova la sua sintesi nell’interpellanza di Arancio: “Nelle Cta (Comunità Terapeutiche Assistite) della Sicilia, strutture finalizzate alla riabilitazione psichiatrica, – scrive il deputato Pd – si assiste tuttora a ricoveri lunghissimi e spesso a vita (diversi utenti vengono dimessi in seguito alla morte) e il prolungarsi sine die del ricovero vanifica la stessa riabilitazione e danneggia la salute mentale degli utenti. È un dato scientifico, documentato e descritto da molti autori a partire dagli anni 50 – prosegue Arancio – che ricoveri sanitari di lunga durata aggravano la salute mentale dei pazienti causando cronicizzazione e deprivazione sociale”.
Ma se i pazienti finiscono per vedere peggiorare la propria condizione, qualcuno, secondo Arancio, vede migliorare la propria. Almeno dal punto di vista economico. “Nel fenomeno dei ricoveri sine die – scrive infatti il deputato – chi ci guadagna è il privato convenzionato che considera l’utente come una proprietà che produce reddito con conseguenti aggravi economici spropositati a carico di alcune Asp, in particolare a Catania”.
Insomma, questi malati sono anche un buon affare. Non certo per il Sistema Sanitario che eroga per la cura di ciascuno di questi pazienti, come detto, qualcosa come 50 mila euro l’anno. Ma i malati “fruttano”, stando al racconto di Arancio, soprattutto se la loro permanenza nei centri è lunga. Nonostante le norme impongano altro. La più recente è riportata in una circolare del 19 giugno scorso firmata dall’assessore regionale alla Sanità Lucia Borsellino e porta la firma del dirigente generale Salvatore Sammartano.
Un documento che fissa un limite temporale “alla durata dei ricoveri sanitari psichiatrici riabilitativi nelle Cta siciliane, così come elaborato dal Gruppo Interregionale Salute Mentale, – si legge nell’interpellanza di Arancio – in collaborazione con Agenas e successivamente approvato dalla Commissione Salute, al fine di bloccare i fenomeni di non appropriatezza della durata dei ricoveri o neomanicomialismo che ormai durano da circa 30 anni in assenza di una normativa che adesso finalmente è arrivata”.
La circolare della Borsellino in questo senso è molto chiara e fa riferimento al “Piano strategico per la Salute mentale”. Questo piano, scrive l’assessore, “ha tra l’altro indicato i limiti temporali caratterizzanti la durata dei programmi di trattamento. Al riguardo – prosegue la circolare – è previsto che la durata della permanenza in tali strutture non debba superare complessivamente il limite temporale di 54 mesi, di cui massimo 18 mesi per il programma terapeutico-ribalitiativo intensivo e massimo 24 mesi per il programma terapeutico-riablitativo estensivo”.
Un limite assolutamente tassativo, quello fissato dall’assessore: “Il previsto limite temporale massimo di permanenza – si legge infatti nella circolare – non può in alcun caso essere superato e va applicato anche ai trattamenti già i corso”. Insomma, i malati presenti nei centri da più di quattro anni e mezzo devono tornare alle loro famiglie. O, come scrive Arancio nella sua interrogazione, in “strutture integrate socio-sanitarie (Comunità Alloggio, Gruppo Appartamento, Residenze sanitarie assistite) o in una struttura assistenziale per soggetti anziani (casa di riposo o simili)”.
Un richiamo, quello dell’assessore, rilanciato dalla interpellanza-choc di Arancio, che ha suscitato molti timori tra i responsabili dei centri privati. Che si troverebbero costretti, nel caso di “ritorno a casa” dei malati psichiatrici “lungodegenti” a ridurre il proprio organico. Un timore raccolto recentemente anche dalla Cgil di Catania: “Qualora dovessero registrarsi permanenze dei soggetti oltre il termine previsto, le Comunità terapeutiche dovranno essere remunerate con la tariffa alle Comunità alloggio che corrisponderebbe ad un importo inferiore di circa il 50%, si passerebbe infatti dalle attuali 156 euro a circa 80 euro (al giorno, ndr)”. Una decisione che potrebbe causare “ripercussioni che possono esserci dal punto di vista occupazionale soprattutto nella nostra provincia che conta 16 CTA che assistono 640 pazienti con diverse centinaia di posti di lavoro”.
“La permanenza in tali strutture oltre il limite indicato – specifica però Lucia Borsellino nella sua circoalre – si caratterizzerebbe come prestzione inappropriata, che potrebbe anche configurarsi come danno erariale”. Un danno, oltre alla beffa, per le casse pubbliche. Quella di alimentare, stando all’allarme lanciato dal deputato del Pd, un business oscuro quanto “folle”. Quello fondato sul destino dei malati psichiatrici siciliani.
da Live Sicilia, di Accursio Sabella