10 – Le ragioni del viaggio di Marco Cavallo nel mondo di fuori per incontrare gli internati. Di Anita Eusebi.
Sul piano scientifico – culturale
Gli ospedali psichiatrici giudiziari, costituiti alla fine del 1800, in epoca lombrosiana, oggi come allora racchiudono in sé il peggio dell’istituzione manicomiale e di quella carceraria. Si tratta di istituzioni totali che, a più di trent’anni dalla chiusura dei manicomi civili con la legge 180, sono rimaste sostanzialmente estranee e impermeabili all’evolversi nel tempo della cultura psichiatrica. Appaiono tuttora come non-luoghi dove uomini e donne non possono non percepire la provvisorietà, una pena senza fine certa, una perdita pur minima di una qualsiasi identità, dove gli operatori, benchè attenti e generosi, sono costretti a vivere una dimensione lavorativa alienante.
Tanto che molti psichiatri, politici, giuristi, opinionisti e cittadini attivi nelle associazioni definiscono la persistenza dell’istituto dell’OPG e del meccanismo di internamento come del tutto incostituzionali.
Oltre agli ambienti certamente degradati e alle condizioni di vita scandite dall’ordine istituzionale, ciò che non è più accettabile è l’idea di una legislazione speciale, il doppio binario, in rapporto all’infermità mentale. Una giustizia fatta di pericolosità sociale, di incapacità di intendere e di volere, di non imputabilità, o ancora di evidenze biologiche infondate rispolverate per l’occasione. Una giustizia che a partire da questi presupposti arriva a negare anche il diritto a un termine certo e alla funzione riabilitativa della pena. Eppure questo diritto giuridico elementare di ogni cittadino dovrebbe assumere una rilevanza ancora maggiore in presenza di un disagio mentale, quando all’intervento penale dovrebbe affiancarsi un percorso terapeutico adeguato.
Il problema non sarà certo risolto con la traduzione dell’intera popolazione degli attuali OPG in tanti miniOPG regionali, diversi solo per dimensioni e distribuzione territoriale, ma con lo stesso scheletro ideologico a fondamento e giustificazione sociale. Non basterà chiudere gli OPG per abolirli: l’effettivo superamento delle logiche perverse che li hanno ispirati richiederà un significativo impegno teorico e pratico su tutti i piani, non solo politico e giuridico-normativo ma anche scientifico, etico e culturale.
Tutto questo Marco Cavallo lo sa bene. Ecco perché accompagnerà il comitato stopOPG in un viaggio di denuncia per stimolare il desiderio e la memoria del cambiamento, tornando a scalciare con forza davanti ai letti di contenzione, alle porte chiuse, agli abbandoni, alle miserie di quelli che dovrebbero essere luoghi di cura. E nello spirito originale della legge 180, che chiudendo i manicomi ha restituito dignità e cittadinanza ai ‘matti’, il cavallo azzurro chiede ora altrettanto per i ‘folli rei’. Chiede di individuare e attuare anche per loro, o almeno per la maggior parte di loro, soluzioni radicalmente diverse, basate su processi di inclusione sociale e buona assistenza sul territorio attraverso Centri di Salute Mentale h24.
E questo significa innanzitutto confrontarsi con lo stigma, i pregiudizi, le false credenze. Concetti tanto infondati quanto sentiti e risentiti in ogni dove, che sono ormai divenuti abituali nel comune pensare al punto da sembrare verità irrinunciabili. Luoghi comuni propri di una mentalità obsoleta ma consolidata negli anni nell’opinione pubblica sulla scia della vecchia logica manicomiale, che viene fuori ancora oggi purtroppo con forza, in equivoci e contraddizioni.