La direttrice reggente dell’OPG di Montelupo Fiorentino racconta come, e perché, ha abolito la pratica della contenzione nell’istituto. E solleva la questione “della contenzione zero” in qualsiasi struttura psichiatrica.
E’ certo un fatto molto positivo, che va apprezzato e incoraggiato.
Naturalmente, per noi resta ferma la lotta per abolire gli OPG: come tutte le istituzioni totali, pur “migliorati”, restano gravemente nocivi per la salute e per i diritti delle persone.
Stefano Cecconi.
Ristretti Orizzonti, 31 luglio 2013
Lettere: contenzione zero…
di Antonella Tuoni (Direttore reggente Opg Montelupo Fiorentino)
Il largo respiro del mare – (sono in vacanza, anche se ancora per poco) – mi suggerisce una riflessione che desidero condividere con chi avrà voglia di proseguire nella lettura. Scrivo queste poche righe non per velleità autocelebrativa ma per sincero desiderio di scuotere qualche coscienza.
Nel febbraio del 2011 ho assunto la reggenza della direzione dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino. Non sto a soffermarmi sulla complessità gestionale di una tale struttura, appesantita dalla riforma del 2008 (passaggio della sanità penitenziaria alla sanità pubblica) e dalla attività della così detta commissione Marino; a maggior ragione per una pivella come la sottoscritta, laureata in giurisprudenza, che, pur avendo vent’anni di carcere sulle spalle, poco sapeva degli ospedali psichiatrici giudiziari.
Uno fra i tanti problemi che mi sono trovata a fronteggiare è stata la contenzione fisica ovverosia la pratica di legare al letto (mi dicono con ago e filo alla mano dei poliziotti penitenziari, allora agenti di custodia) gli internati violenti, sulla base di una semplice prescrizione medica.
La cosa non mi quadrava affatto: sottoponevano al mio “visto” certificati medici che prescrivevano la contenzione; a parte la, per me, inconciliabilità della cura, che evoca le azioni dell’accudimento, dell’ascolto e della accoglienza, con una coazione fisica che evoca azioni diametralmente opposte, il riferimento normativo invocato a giustificazione di tale pratica era addirittura un regio decreto del 1909 e l’art. 41 della legge 354/75.
E la costituzione? L’art. 13? Possibile d’altra parte che nessuno si fosse mai posto il problema (mi risulta che la pratica della contenzione esista dacché esistono gli Opg) della legittimità se non addirittura della liceità di una “procedura” tanto invasiva da non poter essere certo classificata come una mera modalità di esecuzione di una pena (rectius misura di sicurezza)? Possibile che nessuno si fosse mai domandato se legare ad un letto per giorni e giorni un internato in una cella di un istituto penitenziario sulla scorta di un semplice certificato medico non integrasse gli estremi di una limitazione della libertà personale di gran lunga superiore (e come tale intollerabile senza il presidio di un controllo giurisdizionale) a quella conseguente alla esecuzione di una misura di sicurezza?
Ma si sa l’assuefazione al “si è sempre fatto così” e l’insidioso “chiudere gli occhi” in una istituzione totalizzante come il carcere sono sempre in agguato e possono fiaccare anche l’animo più intrepido. Ciononostante, da neofita della materia, non mi sono data per vinta: ho cercato di approfondire l’argomento ed in assenza, almeno per quanto abbia potuto verificare io, di letteratura scientifica sull’argomento, ho fatto appello alle mie modeste conoscenze giuridiche e, complice il piano sanitario regionale della regione toscana, ho deciso che in un istituto da me diretto la contenzione non avrebbe più dovuto essere praticata.
Decidere il da farsi è stato semplice, direi quasi naturale, mantenere il timone barra a dritta un po’ più impegnativo: le rivoluzioni culturali per piccole che siano hanno sempre i loro fisiologici oppositori (ed io ne ho dovuti contrastare tanti e compatti) e richiedono tempi lunghi di metabolizzazione. Per quanto poi sia assolutamente irremovibile rispetto ai presupposti giuridici che mi hanno determinata a bandire la contenzione dall’Opg di Montelupo Fiorentino imponendo il ricorso al trattamento sanitario obbligatorio (ordinanza sindacale ecc.) ed il conseguente ricovero nel competente servizio di prevenzione, diagnosi e cura, riterrei utile una rilevazione scientifica dei dati (numero di condotte clastiche, di episodi di aggressione ecc. parametrati al numero di internati) ed una altrettanto scientifica lettura di essi al fine, pur esso, scientifico di valutare le conseguenze cliniche di un orientamento che dichiari definitivamente e per sempre fuori legge la contenzione fisica nella cura della malattia mentale. In conclusione la domanda non è più “perché è stata praticata per un tempo interminabile la contenzione negli Opg e negli altri luoghi che ospitano pazienti psichiatrici? Ma è la seguente: “perché ancora, come mi risulta, si continua a praticarla?”.