Partecipazione, cittadinanza e processi di riforma in Italia e nel mondo a 40 anni dalla legge 180
Conferenza dei soggetti e delle organizzazioni per il cambiamento
Evento organizzato dal DSM–ASUI Trieste e dalle Associazioni e Cooperative Sociali del territorio
In collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Salute
La straordinaria esperienza basagliana ha dimostrato quanto le istituzioni totali e i saperi che le giustificano siano inevitabilmente basate sulla sistematica violazione dei diritti umani e sulla negazione delle libertà fondamentali. La parola dignità risuona oggi nelle convenzioni e nei trattati internazionali che tutelano tali diritti. La chiusura dei manicomi che la legge 180, di cui si festeggia nel 2018 il quarantennio, rese possibile, ha realizzato la restituzione delle persone al diritto primigenio, quello di avere una vita degna di essere vissuta. Se la vita non ha senso né valore, se la persona è negata, allora tutto si rende ‘cosa’ – ed è possibile ogni abuso.
La legge 180/78 ha di fatto rappresentato una pietra miliare per l’affermazione dell’uguaglianza delle persone con disturbo mentale, come cittadini, rispetto al diritto alla salute e a ricevere cure adeguate – come trattamenti volontari – nell’esercizio dei diritti di cittadinanza (art. 32 della Costituzione) e della centralità della persona (art. 2 Costituzione). Ciò attraverso la totale trasformazione del sistema istituzionale e manicomiale in una rete di servizi territoriali, e la riduzione delle condizioni in cui si ricorre ai trattamenti sanitari obbligatori e il contenimento della loro durata. La legge si muove esclusivamente sul terreno – sopra definito – della salute mentale, evitando il ricorso a motivazioni direttamente riferibili al controllo sociale ed alla “pericolosità”.
Il carattere seminale della legge 180 come modello per diversi paesi, con tutte le implicazioni di politica sanitaria e di trasformazione dei sistemi, e con la prospettiva di un grande cambio di paradigma, è legato al carattere normativo della legge, che ha garantito le cure in una condizione di diritto.
Sarebbe sbagliato attribuire alla legge lo stato dei servizi per la tutela della salute mentale in Italia, che è fondamentalmente disceso dalle politiche sulla salute mentale o per meglio dire dalle loro carenze. A ciò si sono assommate le insipienze di ordine tecnico, e mentre le sperimentazioni portate avanti in alcuni luoghi, e in tutte le pratiche innovative, anche puntiformi, non hanno trovato adeguata comprensione e diffusione proprio sul versante amministrativo e politico.
Nulla però può sostituirsi alla forza dei movimenti, che ieri hanno sospinto la legge di riforma. Le energie, oggi, sono date soprattutto dalle persone “con esperienza”, e dalle disuguaglianze sociali stridenti che si affollano alla periferia del mondo e delle nostre società. Negli ultimi anni l’affermarsi del protagonismo, connesso a una nuova consapevolezza e ad importanti cambiamenti di prospettiva – con la persona al centro del percorso di ripresa /recovery – ha contribuito alla creazione di nuove spinte collettive che rivendicano l’empowerment, la partecipazione e l’accesso alla cittadinanza.
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