di Peppe dell’ Acqua
Nell’ottobre del 1967 Franco Basaglia presenta al Reggio di Parma “Che cos’è la psichiatria?”.
E’ un libro collettivo sull’esperienza che era iniziata a Gorizia nei primi anni ‘60. Edito dall’Amministrazione Provinciale di Parma verrà poi pubblicato da Einaudi e ora ritorna nelle librerie a cura di Baldini e Castoldi.
Le immagini in bianco e nero di un cinegiornale di allora restituiscono una affollata assemblea, un giovane Basaglia, moltissimi studenti e un Franco Rotelli giovanissimo.
L’anno successivo, nel ‘68, viene pubblicato da Einaudi “L’istituzione negata”. Sempre sull’esperienza di critica del manicomio di Gorizia, il libro che vende subito 50.000 copie sarà un testo che formerà generazioni di studenti di medicina, di sociologia, di filosofia.
Nelle assemblee dei collettivi di medicina sembra essere la prova che cambiare le istituzioni sanitarie è possibile. Che cambiare il mondo si può!
Il libro riceverà nel ‘69 il premio Viareggio per la saggistica e segno dei tempi, Basaglia e il suo gruppo accetteranno il compenso in denaro per sostenere la comunità terapeutica goriziana, ma rifiuteranno di ritirare il premio in segno di critica a quelle istituzioni culturali che ancora resistevano al cambiamento.
Nel ‘69 sempre Einaudi pubblicherà “Morire di classe”, un libro di Franco e Franca Basaglia, che attraverso le fotografie di Gianni Berengo Gardini e Carla Cerati renderà evidenti la tragedia del manicomio, la miseria, l’annientamento degli uomini e delle donne: la mappa della vergogna. Il testo ricco di testimonianze riporta, tra le altre, quelle del campo di concentramento vissute da Primo Levi.
Il manicomio e il lagher, ancora molto presenti nel comune sentire, vengono omologati dalla comune potenza di annientamento e oggettivazione.
È del ’61 la pubblicazione di tre libri che possono essere considerati, nel campo dello studio e della ricerca intorno alle istituzioni totali, un punto di svolta che segnerà gli anni a venire. Einaudi pubblica Asylum di Erving Goffman con un’introduzione di Franco e Franca Basaglia, dove la puntuale analisi sociologica della carriera dell’internato nel manicomio, come nel carcere, come in qualsiasi altra istituzione, fornisce materia per la grande contestazione alle istituzioni autoritarie e gerarchiche. Il manicomio, luogo altro, distante dalla percezione e dalla quotidianità di allora, entra prepotentemente nella coscienza della collettività. Viene pubblicata da Rizzoli, Storia della follia nell’età classica, tesi di dottorato di Michel Foucault, impegnatosi nella ricerca storica dell’istituzione manicomiale: alle radici del ricovero manicomiale, secondo il filosofo francese, vi sarebbe l’internamento nei lebbrosari medievali, i quali, una volta debellata la lebbra, divennero, nel corso dell’età classica, contenitori misti e variegati di tipi sociali d’impiccio alla macchina dello stato. E per terzo, sempre per Einaudi, uscì I dannati della terra, dove Franz Fanon, psichiatra francese delle terre d’oltremare, sceglie di lavorare nell’ospedale psichiatrico di Algeri nel momento più acuto della decolonizzazione e testimonia di quell’esperienza: la condizione di malato di mente, di africano, di colonizzato.
Non solo libri ma frequenti inchieste giornalistiche alimentano denuncie e polemiche intorno ad una intollerabile miseria umana e materiale che finalmente appare. Ed è tanto più intollerabile in rapporto alla recente crescita economica e alle “violente speranze di cambiamento”.
Il settimanale della RAI, TV 7, che segna un timido cambiamento nell’informazione radio-televisiva, manda in onda nel 1967 un formidabile reportage, magistrale, di Sergio Zavoli sull’ esperienza goriziana. Per la prima volta i “matti” parlano, argomentano con giudizio e saggezza la loro condizione di internati, aprono irrimediabilmente la contraddizione intorno a normalità e follia.
Molti giovani vanno a Gorizia a vedere, a vivere un’ esperienza di liberazione possibile. In molte assemblee, nelle università occupate di questo si parla con sorpresa ed entusiasmo.
Non solo Gorizia apre porte e cancelli, ma anche il manicomio di Perugia si apre alla città e avvia un rapido processo di cambiamento che accende le speranze. Anche in una difficile Campania, in un manicomio privato, a Materdomini, Sergio Piro cerca faticosamente di aprire le porte e di avviare una comunità terapeutica. Le foto di Luciano D’Alessandro che frequenta tra il ’65 e ’68 l’ospedale di Materdomini e pubblica ‘’gli esclusi’’ un fondamentale libro fotografico e apre una stagione. Piro verrà ben presto “fatto fuori” dalla prepotenza di interessi e baronie che in questi quarant’anni, in quella regione, poco sono cambiate.
Nascono le prime associazioni di cittadini, forse la prima in assoluto; l’Associazione per la lotta contro le malattie mentali si costituisce a Firenze. Pubblicherà di lì a poco a Torino, nel 1969, “La fabbrica della follia”, un’agghiacciante libro bianco sulla condizione degli internati, sull’uso violento e indiscriminato della contenzione e dell’elettroshock. il direttore di Collegno verrà anni dopo portato in giudizio, ad accusarlo gli stessi internati che vengono accettati in aula dalla corte malgrado ancora sottoposti al ricovero definitivo. da questa storia trae ispirazione un passaggio emozionante del film di Marco Tullio Giordana, ’’La meglio gioventù’’.
Documenti fotografici vengono pubblicati su molti settimanali, i matti con la striscia nera sugli occhi. I direttori dei manicomi attaccano affermando che si viola la dignità dei malati e che si strumentalizzano, per ragioni politiche che non li riguardano, i malati stessi. Spesso i reporters vengono allontanati dalla polizia dai cancelli dei manicomi. Le gerarchie istituzionali, i direttori, si rendono in tal modo ridicoli proprio illuminando la totale mancanza di dignità che essi stessi hanno alimentato e continuano a produrre e che ora malamente vogliono nascondere.
Non mancano tra il ‘69 e il ‘70 alcune esperienze di “antipsichiatria”, tanto radicali quanto alla fine dannose nell’alimentare polemiche e incapaci di produrre reali cambiamenti. Affermazioni come “la malattia non esiste”, che qualche psichiatra di allora utilizza come strumento di attacco alla condizione del malato di mente, diventeranno in seguito luoghi comuni che attizzeranno le polemiche più aggressive nei confronti dei cambiamenti che da quegli anni cominciano. L’Espresso pubblica, tra il ’66 e il ’69, reportages dai manicomi e dalla comunità terapeutica goriziana di giornalisti attenti e di grande professionalità. Gli inviati sono Fabrizio Dentice, Sandro Viola, Maria Livia Serini, Sandro Butrini, Giuseppe Catalano. Alla miseria umana e materiale che trovano dovunque si aggiungono, come nel caso di Cagliari, gli interessi di spregiudicati amministratori e padroni che incassano centinaia di milioni, mantenendo condizioni disumane. L’ingresso dei privati qui a Cagliari è singolare. Alcuni reparti dell’ospedale psichiatrico di Villa Clara vengono dichiarati inabitabili per le condizioni fatiscenti e terminali degli ambienti. Centinaia d’internati vengono venduti a padroni di cliniche private senza scrupoli, dove trovano condizioni ancora peggiori dell’ospedale.
Sempre da Einaudi escono in quegli anni le traduzioni dei lavori dell’antipsichiatria inglese. David Cooper, Ronald Laing, Aaron Esterson vengono letti da un gran numero di studenti. L’io diviso di Laing (1969) diventa una sorta di libro rivelazione.
E’ sempre del 1968 la prima legge, detta Mariotti, che modifica la vecchia legge manicomiale del 1904. Da quel momento è possibile, anche per legge, per gli internati recuperare una posizione di diritto nel trattamento. Si afferma che le persone possono essere ricoverate “volontariamente”, senza cioè dover ricorrere a norme per l’internamento che privano di diritti civili e di cittadinanza sociale.
Questa legge sembra rendere evidente quanto il problema fosse già allora drammatico. Le amministrazioni provinciali che governano i manicomi annaspano per la difficoltà di “governare” circa 120.000 internati, circa 90 sono i manicomi tra pubblici e privati.
I socialisti di allora, attraverso Mariotti appunto e la legge, interpretarono le spinte di rinnovamento e i cambiamenti reali che nelle istituzioni si stavano muovendo.
Quanto accadeva nei manicomi veniva allora riportato costantemente nel percorso più generale della riforma sanitaria. Il movimento degli studenti, dei sindacati, le associazioni dei cittadini discutevano delle mitiche unità sanitarie locali che allora cominciavano soltanto a essere immaginate, del territorio, dei distretti socio-sanitari, della salute in fabbrica (sono gli anni di Giulio Maccacaro e dell’avvio di medicina democratica), della salute nelle periferie. A colpire l’opinione pubblica è l’esplosione di un grande serbatoio di diossina. La contaminazione dei territori di Seveso in Lombardia fa nascere i primi movimenti ecologisti.
Franco Basaglia alla fine del ‘68 partirà per gli Stati Uniti. Terrà conferenze in quelle università e a Berkley incontrerà studenti e intellettuali.
La critica alle istituzioni autoritarie, all’autoritarismo, alle gerarchie sembra passare emblematicamente attraverso il lavoro di smontamento del manicomio, e gli studenti europei e americani sembrano trovare qui la conferma della giustezza delle loro posizioni.
Nel ‘69 comincerà ad aprirsi il manicomio di Colorno a Parma, dopo essere stato occupato dagli studenti di quella università. E poi Reggio Emilia e poi Ferrara.
Di lì a poco si aprirà il manicomio di Trieste e cominceranno le prime assemblee nel manicomio di Arezzo. Molte altre esperienze si diffonderanno in Italia.
Dieci anni dopo, nel 1978, la legge 180 chiuderà una stagione difficile e contraddittoria, che ha aperto ad u nuovo scenario dove finalmente i cittadini anche se folli compariranno come soggetti nel pieno del loro diritto. E la storia continua.
Trieste, aprile 2018