Marco Cavallo a Montelupo Fiorentino dialogò col Drago e con tutti gli internati. Era il 2003 e si promisero che, insieme, tutti avrebbero lottato perché il manicomio criminale diventasse un orribile e triste ricordo. Benchè insieme abbiano continuato a lottare, il manicomio resta lì, terribile più che mai.
di Peppe Dell’Acqua
Era il gennaio 2003 quando gli amici internati di Montelupo Fiorentino mi fecero sapere che stavano costruendo un drago e che avrebbero voluto incontrare Marco Cavallo per sapere delle porte aperte, della chiusura dei manicomi e della libertà. Avevano chiamato Giuliano Scabia per costruire insieme il drago. Di Gorilla Quadrumàni e cavalli azzurri Giuliano se ne interdeva eccome.
Così decidemmo, Marco Cavallo ed io, di scrivere subito ai nostri sfortunati amici e di andare a fargli visita.
Trieste, febbraio 2003
Cari amici di Montelupo,
siamo venuti a sapere che qualcosa sta accadendo dalle vostre parti.
Sarà un drago? O forse tornerà il Gorilla Quadrumàno?
Ci hanno detto che fate riunioni animate ed affettuose.
Che in tanti aspettano la primavera, quando le nuvole sono più leggere ed il cielo è più azzurro.
Aspettano di uscire, abbiamo saputo, e di spingere fuori un drago.
Ma è vero? Un drago che mangia il cuore?
E che brucia l’anima?
Paolo, che vive a Montelupo ed è un triestino, ci ha scritto.
Ha nostalgia dei giorni ventosi e del cielo azzurrissimo pulito dalla bora.
E del tram de Opicina.
Non riesce a dimenticare le osterie de San Giacomo e vorrebbe tanto mangiare capuzzi e cragno, luganighe e jota.
Di tutto questo ho parlato a Marco Cavallo.
E gli ho detto che vorreste che venisse da voi.
Ha nitrito di gioia!
Ha cominciato a scalpitare.
E a preoccuparsi: “Come sopporterò i lungo viaggio?
Cosa sarò capace di fare a Montelupo?
Cosa potrò dire a questi nuovi amici?”.
Sapete, Marco Cavallo ha ormai 30 anni.
E trent’anni, per un animale sono proprio tanti.
Per un cavallo poi!
Trent’anni fa,
era una limpida domenica di marzo,
sfondò i muri del manicomio di San Giovanni.
Quel giorno ha fatto la storia.
Uscì nella città in testa a un enorme corteo di matti.
Lottò per il loro diritto alla libertà, alla casa e al lavoro.
Per costruire le nuove cooperative.
Nacquero amori e nuove amicizie.
Spesso veniva invitato alle feste di nozze.
E poi, di corsa a Venezia, a Berlino, a Parigi, a Roma, a Barcellona, ….
Da un po’ di tempo, si sentiva stanco, in pensione, dimenticato.
Di questi tempi si fa fatica a parlare di libertà e di diritti.
E i matti li vogliono rinchiudere di nuovo.
A maggio, più cavallo e più azzurro che mai, arriverà a Montelupo.
Un abbraccio
Peppe Dell’Acqua
Montelupo Fiorentino, 16 e 17 maggio 2003
Marco Cavallo Era una limpida domenica di marzo, spazzata dalla bora quando tentai di uscire dal manicomio. Ormai non potevo più starci, rinchiuso là, ero diventato troppo grande. La mia pancia era stata riempita dai desideri di tutti i matti di San Giovanni. Dall’orologio dorato di Tinta al porto con le navi della giovinezza di Ondina, dalle tante Marie al fiasco de vin, dalla casa in affitto alle scarpe nuove, al volo, al viaggio, alla corsa, all’amico, dalla partita de balòn alla libertà: ero troppo appesantito da quel carico di bisogni e desideri che mi portavo dentro. Provai ad uscire dalle porte del reparto, erano strette, provai allora quella del giardino, poi la veranda; pensai di saltare la ringhiera. Cercai di piegarmi, di mettermi di taglio, mi abbassai pancia a terra, mi ferii. Ma niente. Restavo chiuso dentro. Eppure tutti erano lì a guardarmi: era quello il mio momento. Cominciai a correre nervoso per il lungo corridoio del vecchio reparto “P” trasformato in laboratorio, avanti e indietro, avanti e indietro, proprio come avevano fatto per anni i ricoverati. Giuliano cercò di calmarmi, dicendo che bisognava aspettare, che forse non era quello il momento, che bisognava avere pazienza. I malati cominciarono a pensare di avere solo sognato, secoli di grigio tornarono nelle loro teste, urla disumane assordarono le loro orecchie. Dino Tinta piangeva. Allora io, fremendo e nitrendo, a testa bassa, iniziai una corsa furibonda, come impazzito, verso la porta principale e, senza più esitazione, oramai a gran carriera, aggredii quel pezzo di azzurro e di verde oltre la porta. Saltarono gli infissi, si infransero i vetri, caddero calcinacci e mattoni. Io arrestai la mia corsa nel prato, tra gli alberi, ferito e ansimante, confuso col blu del cielo. Gli applausi, gli evviva, i pianti, la gioia, guarirono in un baleno le mie ferite. Il muro, il primo muro era saltato.
E subito la libertà: i muri del manicomio frantumati, la fila infinita di matti che dietro a me escono dalla breccia e si perdono per le vie della città, con Boris che ci accompagna suonando la fisarmonica.
Quante ne ho viste da allora…
Ci aveva resi così felici, la legge 180. E invece…
Non è stato mica tutto facile.
Quante ne abbiamo passate…
Io, fin da quando sono nato, mi ricordo del caso Savarin. Lo sentivo nominare nelle assemblee a San Giovanni, nelle riunioni dei dottori; il suo nome era scritto perfino sui giornali. E io mi chiedevo…ma chi sarà mai, ‘sto Savarin. Così mi sono informato. Era uno che aveva…che aveva fatto…va beh, è uno che aveva fatto quello che aveva fatto. Uno che poi, dopo aver fatto quello che aveva fatto, era finito in manicomio criminale, nell’ospedale psichiatrico giudiziario, l’Opg.
E già in quegli anni…parlo del ‘73, del ‘74…cercavamo di far qualcosa per tirarli fuori di là. Insieme a Savarin, sparsi nei vari manicomi criminali c’erano più di trentatre triestini, allora, oltre a una baraonda di italiani. Ma allora…cosa si poteva fare? Andarli a trovare, portargli un pacchetto di sigarette, e poco altro.
Eh sì, quante ne abbiamo passate.
Cosa ho visto, io. Che postacci brutti. E quanta gente rinchiusa che fremeva di vita per uscire fuori.
E adesso che li ho visti praticamente tutti…Perché di manicomi giudiziari non c’è mica solo Montelupo, eh!
Aversa e Napoli,
Barcellona Pozzo di Gotto a Messina,
Castiglione delle Stiviere a Mantova…l’unico in cui ci stanno anche le signore…poche ma belle. E xe sempre un piazèr vederle…
Poi Reggio Emilia e Montelupo Fiorentino…
Li ho contati tutti? Sì sì, giusto, non mi sono mangiato la memoria: in Italia sono questi sei, i manicomi giudiziari. E più di mille persone ci stanno chiuse dentro. Poche ? Tante ? Mah…
E allora io penso che, e voi pensate che, e tutti pensano che. E tutti dicono che. E anche le buone signore che propongono le controriforme dicono che: “Ma che cavolo ci fanno ancora in piedi i manicomi criminali? Bisogna chiuderli tutti quanti. E subito”.
Ma…ma voi…voi siete qui ! (rivolgendosi a un gruppo di ragazzi internati )
E che ci fate ?
Tu per esempio…perché diavolo stai qua ?
Sandro Il dolore di quello che ricordo è tanto grande che non riesco a dirlo neanche a te, Marco Cavallo, neanche a te che pure sei amico mio.
Marco Cavallo E tu ? Tu ce la fai a raccontarmelo?
Charlie Ah, sapessi che fesso che sono stato, io! Ho combinato ‘na fesseria che se potessi tornare indietro non la rifaccio più manco morto.
Marco Cavallo E tu laggiù? Tu che te ne stai in disparte?
Pasquale È tante luntane, chell’ ch’ aggio fatte cha nu m’arricorde cchiù.
Marco Cavallo E tu ? Tu che ti mangiucchi le unghie tutto il tempo ?
Claudia Io ho fatto una cazzata tale che ancora mi ci mangio le mani.
Marco Cavallo E allora…Io penso che…
Francesca E a me ? A me non me lo domandi?
Marco Cavallo Scusami, sai. Ma mi stavo infervorando.
Francesca Io pensavo di essere un mito quando facevo quello che facevo. Un vero mito. E invece…e invece eccomi qua.
Pilade E io? Io ci ho messo più di un anno per riattaccare le mani che…le mie mani alle mie braccia. Perché non le riconoscevo più, queste mani. Non volevo che mi appartenessero più, dopo quello che avevano fatto.
Marco Cavallo E tu che alzi la mano?
Dario Io pensavo di essere un impunito. Prima cantavo sui vaporetti per Ischia. E mi andava tutto bene. Poi ho cominciato a fare assegni a vuoto e pensavo che si poteva fare tutto. E comprare una televisione e costruire un palazzo e fare Zagarolo Due e comprare tutta l’Italia. Ma poi ho visto che qui in Italia solo pochi…anzi, solo pochissimi…anzi, forse solo uno…solo uno può fare tutto quello che gli pare.
E invece io sono qua dentro.
Marco Cavallo Caro Drago, care amiche e cari amici di Montelupo Fiorentino, ho accettato questo vostro invito perché so che voi qui state facendo quello che noi abbiamo fatto a Trieste.
Io penso e tutti i miei amici pensano e anche esimi dottori ed illustri scienziati lo pensano e anche i ricercatori e gli studiosi lo pensano e anche i giudici e i giuristi lo pensano e anche i poeti e i teatranti e gli scrittori e gli artisti lo pensano e anche voi lo pensate: il manicomio criminale va soppresso, buttato giù, sfondato, disfatto, dismesso, distrutto, aperto, cioè chiuso. Insomma chiuso.
Drago Ma come si fa ?
Marco Cavallo Voi lo sapete molto bene…quello che i manicomi giudiziari sono.
Luoghi orrendi, sono. Istituzioni che vorrebbero curare la malattia e contenere la pericolosità e la malvagità degli uomini. Ma che invece, come tutte le istituzioni totali, tutte ma proprio tutte, la malattia la riproducono e la violenza e la malvagità la moltiplicano.
Perché invece di essere posti di cura, sono fabbriche di malattia.
Perché in manicomio matto sei e matto resti. In carcere criminale sei e criminale resti.
I manicomi giudiziari riproducono il peggio del peggio del manicomio e il peggio del peggio della galera.
A Trieste, proprio perchè abbiamo rotto i muri, abbiamo scoperto che dietro quei muri c’erano tanti uomini e donne. E che si può ascoltarli. E abbiamo scoperto che perfino le medicine, fuori dal recinto, possono essere buone. E che le parole e gli sguardi e le mani permettono di avvicinare le persone. Per sentire il loro male. Per sperare di guarire, di stare bene. O almeno di stare meglio.
Invece, dietro le mura, tante storie tristi o disperate si confondono. E le persone, le loro storie le perdono.
Ma come si può pensare di vivere senza la propria storia? Io la mia ve la sto raccontando, se no cosa potreste capire, di me.
Insomma, non c’è verso. Bisogna aprirli, cioè chiuderli. Punto e basta.
Dario Ma come, Marco Cavallo?! Cosa diranno fuori? Che si chiude il manicomio giudiziario e poi…E poi ci lasciano liberi tutti?
Charlie E che quelli che hanno commesso reati orrendi li mandiamo fuori – diranno.
Sandro Ma cosa diranno? E chi protegge la società? – diranno.
Francesca E chi tutelerà i nostri figli da questi pericolosi matti che ne hanno combinate tante? – diranno.
Marco Cavallo Capisco queste preoccupazioni ma voglio dire una cosa che ho imparato in questi anni. Da Basaglia in persona. Altro che mostri, gente impaurita e strade deserte! È dietro le mura che nascono i mostri.
Francesca E cosa diranno? Che questi pericolosi matti che ne hanno combinate tante staranno fuori come quei bravi cittadini che hanno sempre osservato la legge? Come quelli che non hanno mai combinato niente di male? Questo diranno…
Ma ci pensi?
Marco Cavallo Piano, piano.
Mica è facile affrontare questo problema.
È spinoso e contraddittorio, direbbe un serio professore, contraddittorio! Qua la faccenda si fa davvero bigolosa, come diciamo a Trieste.
Io sono vecchio. Mi permettete di fare un po’…ma poco poco…di storia?
Tanti anni fa, quando sono nati i manicomi criminali, la psichiatria dei tribunali dava tutta la colpa e la responsabilità dei crimini alla follia.
Come se la persona non esistesse nemmeno, come se al posto della persona avesse agito solo la sua malattia, la sua follia. Come se al posto di Francesca, di Charlie, di Pilade oppure di Pasquale avesse agito la follia.
Ma io vi chiedo: il pittore Van Gogh, quando dipingeva, era lui che dipingeva o al suo posto dipingeva la follia? Vogliamo togliere il nome di Van Gogh dai cataloghi delle mostre di Amsterdam e di Firenze per metterci cosa al suo posto? La follia?
E gli scrittori Proust e Saba e Pavese e Philip Dick e Dino Campana quanti altri ancora non ve li sto a elencare…, ma sono tanti e tanti…quando scrivevano, erano loro a scrivere oppure la loro depressione o la loro schizofrenia?
E Antonin Artoud, quando scriveva e recitava, era lui che recitava oppure era la sua follia ?
E Schumann, quando componeva, era lui tutto intero, oppure la sua musica era frutto della sua mania, della sua depressione? E più frutto della sua mania o più frutto della sua depressione? E allora cancelliamo il suo nome dagli spartiti? Per metterci cosa, al suo posto? Psicosi maniaco depressiva? Disturbo bipolare? Depressione endogena?
E uno che si mette a picconare e a togliersi i sassolini dalle scarpe… è lui che lo fa oppure…oppure che?
E santa Teresa D’Avila? E santa Caterina da Siena?
Voi lo sapete meglio di me. In manicomio, in manicomio giudiziario, ti dicono che tu non sei più tu!
Primo Levi…lo conoscete, voi?…è uno che è stato in campo di sterminio nazista ad Auschwitz, ha scritto: “Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente a chi ha perso tutto, di perdere anche se stesso”.
Beh, Primo Levi scriveva dei campi di sterminio, ma è come se parlasse anche dei manicomi. Tu non sei più tu, Pasquale. Né tu, Francesca. Né tu, Dario. E nemmeno tu, Pilade. E neanche tu, Charlie. Voi non siete più voi.
Perché qua non ti hanno solo tolto tutto, ma proprio tutto tutto tutto, ma anche quell’azione per quanto tragica per cui tu sei finito qua dentro. Anche quel gesto te l’hanno portato via, nemmeno quell’azione ti appartiene più. Qua dentro, qua in questo manicomio, non c’è più la tua vita. Non la trovi più.
E anche se, come stiamo facendo oggi, si aprono le porte per un giorno, tu continui a non esistere.
Pasquale Ma io, quante (quando) agge (ho) fatte (fatto) chelle agge fatte (quello che ho fatto)…
Marco Cavallo Cos’hai fatto, Pasquale?
Pasquale È meglio che nun tt’o ddico. Ma quanne agge fatte…chelle agge fatte…l’agge fatte io o è state a’ malatia mia?
Francesca E io allora, quando ho fatto quello che ho fatto…
Marco Cavallo Cos’hai fatto, Francesca?
Francesca Meglio che non te lo dico. Ma ero io o era la mia malattia a farlo?
Marco Cavallo E che malattia avevi?
Francesca Mal di fegato!
Charlie Marco Cavallo! Marco Cavallo!
Marco Cavallo Dimmi, Charlie.
Charlie Posso rispondere io?
Marco Cavallo Certo che sì.
Charlie Beh, secondo me un uomo, se è un uomo, è responsabile di quello che fa…
Claudia Anche se è una donna?
Marco Cavallo Beh, sì. Diciamo una persona.
Drago di Montelupo Allora, ogni persona è responsabile di quello che fa, anche se ha mal di fegato. Anche se la pungono fitte tremende che le fanno vedere nero!
Marco Cavallo Sono d’accordo con te, Drago di Montelupo.
La malattia non siete voi. Anzi: non siamo…perché mi ammalo anche io…non siamo noi. La malattia, nessuna malattia, può possedere tutta la persona. Nessuna persona diventa solo la propria malattia.
Io non ho studiato, ma andando in giro e frequentando personalmente tutti quei dottori di Trieste, qualcosa ho sentito anch’io.
Ludvig Wittgenstein, un filosofo, uno che non conosco di persona, ha scritto: “Negare la responsabilità significa non richiamare l’uomo alla sua responsabilità”
Quanto è vero…
Siamo uomini, no ?!
Francesca e Claudia E donne !
Drago Persone!
Marco Cavallo Giusto. Siamo tutti persone.
E oggi, con tutto quello che sappiamo e con tutto quello che abbiamo sperimentato, non si può più pensare che la malattia, nessuna malattia, può sostituire una persona. Nessuna malattia può rubarti la vita. Nessuna malattia può togliere il significato delle tue parole. E per di più nessuna malattia è sempre la stessa malattia.
Io per esempio…Io ieri sera, con l’idea di questo viaggio lungo e scomodo da Trieste fin qua…Ero depresso, ero nervoso. Quasi quasi prendevo a calci l’autista che mi spingeva sul camion. Io ieri sera mica ci volevo venire, a Montelupo Fiorentino.
E invece adesso sono contento di essere qua con voi.
Come sarò domani?
Insomma non si può dire: depresso e nervoso ieri sera, depresso e nervoso per sempre.
Così come non si può dire: malato per un momento, malato per sempre.
E nemmeno si può dire: matto per un momento, matto per sempre.
Insomma chiunque di noi, anche se malato, è una persona. E se è una persona vuol dire che ha una responsabilità per tutto quello che fa: un capolavoro artistico, una spaghettata, una malagrazia, un gesto gentile. Ma anche un crimine, ancorché efferato e di allarme sociale.
Un altro che gò sentì, neanche questo ho conosciuto di persona, Michel Foucault, filosofo, psicologo e storico francese…mi pare che gà scritto tanti ma tanti libri. Beh…in uno di questi libri sta scritto: “Lo stato deve occuparsi dei cittadini per quello che fanno e non per quello che sono”.
Così ogni imputato anche se schizofrenico, psicopatico, maniaco, matto, pazzo ha, come tutti, il diritto di essere giudicato da un tribunale e, in caso di condanna, di espiare la pena.
Drago Tutte le persone e sempre?
Marco Cavallo Io mi sono sempre domandato: ma cosa può voler dire quando i periti scrivono che “il soggetto era incapace di intendere e di volere”?
Vuol dire demente? Uno che materialmente non ha cervello? Ma tu un cervello ce l’hai! Tu mi vedi, tu mi ascolti, tu mi capisci.
E volere? Cosa può voler vuol dire che tu non volevi? Che qualcuno voleva al posto tuo? Che dentro la tua testa avevi il cervello di un altro? Tu forse non volevi, quando hai fatto quella cosa che hai fatto e che non mi vuoi dire. Mah…chi lo sa.
Forse in quei momenti non sei stato capace di trattenerti. Forse quella cosa che hai fatto ti sembrava la soluzione più facile.
Drago Ma come Marco Cavallo? E la malattia? E il delirio? Le allucinazioni? Non c’entrano niente?
Marco Cavallo Bella domanda, Drago di Montelupo, davvero una bella domanda.
È difficile rispondere. È doloroso.
Certo non tutti, non sempre, capiscono e vogliono capire. Il delirio non è come l’acqua calda. E l’allucinazione…
Mi sono spiegato?
Tutti No!
Marco Cavallo Scusate, avete ragione. Mi sono espresso male. Mi sono proprio incavallato. Adesso ci riprovo.
A tutti noi capita che qualche volta siamo sopraffatti dalla rabbia, dal dolore, dalla necessità e non riusciamo a tenere a freno quelle spine che ci trafiggono, quel demone che soffia fuoco e sputa ghiaccio dentro di noi, quelle sirene che ci suggestionano e ci invitano.
Altre volte invece…beh, altre volte ce la facciamo, a essere padroni.
Ma mai e poi mai succede che, quando alziamo le mani contro qualcuno, pensiamo che questo sia bello, che questo gesto, questo pugno o questo schiaffo sia un bene.
Cazzo se lo sappiamo, che gli faremo del male e che vogliamo fargli del male! E allora quel giudizio di incapacità di intendere e di volere può forse, e sottolineo forse, racchiudere quel momento, quel gesto, quell’azione. Ma mai e poi mai può crocifiggere una persona intera, una volta per tutte.
Insomma! Se per alcuni imputati si considerano tutte quelle circostanze che… e mille testimoni che… e trecento prove a discarico che… e seimila elementi probatori che… Se alcuni imputati possono difendersi per anni e anni, per esempio tre anni e ottantun giorni, con cento o duecento avvocati pagati mille euro all’ora… e ricusare i giudici, per esempio otto volte, e poi ricorrere in Corte d’ Appello e in Corte di Cassazione e in Corte di Parlamento e in Corte di Porta a Porta e non una, né due, né tre, né quattro, ma cento, mille volte…
Voi invece siete stati giudicati una volta per tutte in soli dieci minuti.
Come si può dire con sicurezza assoluta che uno di voi ha commesso un reato apparentemente incongruo dunque:
è stato sospettato di essere affetto da un disturbo mentale
il giudice ha disposto la perizia psichiatrica
i periti hanno fatto la perizia psichiatrica
stata riscontrata l’incapacità di intendere e di volere
siete stati riconosciuti non imputabili
siete stati prosciolti
siete stati riconosciuti socialmente pericolosi
siete finiti in manicomio criminale.
Come si fa a dire una cosa del genere ?
Come si fa a togliervi la vostra vita e le vostre azioni?
Drago di Montelupo Allora tu, Marco Cavallo, dici che il matto è, di norma, capace di intendere e di volere e che ha diritto a stare in giudizio in tribunale?
Marco Cavallo Beh, finalmente sono riuscito a spiegarmi.
Certo che sì. E ha diritto di stare in giudizio con tutta la sua responsabilità individuale. Ma anche con la possibilità di poter illuminare, di conoscere e di far conoscere ciò che gli è accaduto intorno: il contesto, la storia, le violenze, gli abbandoni, la sofferenza, i bisogni. Ricercare il significato e le ragioni dei suoi comportamenti. Anche quando sono così estremi e all’apparenza oscuri. Sapessi io… Quante volte m’hanno fatto incazzare questi dottori dei manicomi che…
Sapessi io…Cos’ho visto io in giro per l’Italia e per l’Europa! Li avrei presi a zoccolate in testa, quei dottori, li avrei bastonati e…
E avrei commesso un reato? Sì, certo.
E se fossi stato giudicato colpevole, sarei stato condannato.
Drago di Montelupo Ma allora, Marco Cavallo, ci stai dicendo che tutti, anche se sono malati, devono espiare la pena? E che, anche se stanno male, devono andare in galera? Ma come possono andarci se sono malati? E se non vanno in prigione, dove vanno?
Marco Cavallo Tu lo sai bene, perché lo hai chiesto tante volte a quelli che stanno chiusi dentro i manicomi giudiziari. E tutti ti hanno risposto che è meglio la galera che il manicomio.
Ti è sempre sembrato strano ma…vedi…è proprio così.
Intanto, in carcere bene o male hai dei diritti, sai perché ci sei entrato, sai quanto tempo ci resterai, hai diritto a visite e a telefonate.
In manicomio giudiziario no: non hai più diritti, non sai perché ci sei entrato, né quanto tempo ci resterai. Sei alla mercè della psichiatria, dell’onnipotenza dello psichiatra e della sua immensa bontà e infinita misericordia.
Il tuo tempo è sospeso all’infinito.
Invece tutte le persone vogliono che gli venga riconosciuto il diritto al loro tempo, alla loro vita. Il diritto di essere persone.
Drago di Montelupo Parole sante, Marco Cavallo, parole sante. Ma…ma in concreto come si può fare?
Marco Cavallo Adesso vi racconto cosa facciamo noi, a Trieste.
Scusatemi se parlo sempre di Trieste. Non è perché da noi tutto funziona bene. Ma Trieste è la città che conosco di più perché ci vivo.
Intanto diciamo che ogni cittadino detenuto ha diritto alla cura, alla continuità terapeutica: se era curato prima di entrare in prigione, deve continuare ad esserlo anche dopo. E da quegli stessi centri di salute mentale che lo curavano prima.
Quando funzionano ventiquattro ore su ventiquattro, i centri possono essere un luogo di cura per quelle persone che stanno male e sono in attesa del processo. Intanto gli operatori possono concordare col magistrato dei progetti per permettere a chi sta male con la testa di andare a vivere ed essere curati altrove: agli arresti domiciliari, nel centro stesso, in strutture residenziali oppure anche a casa propria.
Niente di più e niente di meno delle misure alternative alla detenzione che valgono per tutti. Per tutti i cittadini, anche per quelli malati e anche per quelli matti. E così anche le visite, il lavoro, i corsi di formazione, i laboratori artistici, le cure psichiatriche… Insomma, tutti quei modi per rendere non del tutto inutile e disumana la detenzione. Per mantenere la persona vicino a casa propria, vicino a quelli che la curano, vicino alla sua famiglia, ai suoi amici. Per non farla schizzar via come una biglia imbizzarrita che si perde nel nulla.
Per garantire alle persone tutti i diritti. Tutti. Anche quello di essere condannati, se colpevoli, di scontare la propria pena, di avere il diritto di pagare il proprio debito.
Certo, è molto difficile trovare idee, pratiche e soluzioni. È molto più semplice chiudere la gente in cella e buttar via le chiavi, ma dobbiamo provare. Provare a ragionare senza contrapporre cura e punizione, cura e sorveglianza.
E allora proviamo a farlo. E la fatica della discussione che stiamo facendo anche oggi non sarà stata inutile. E tu, Drago di Montelupo, non mi avrai invitato per niente.
Con quello che sappiamo adesso…
La malattia mentale non è una malattia del cervello. E il malato mentale non è per ciò stesso pericoloso e, anche se pazzo, è soprattutto un cittadino. Non un oggetto da rinchiudere, legare, torturare con l’elettroshock e intossicare con farmaci in dosi da cavallo. Appunto…
Adesso ci sono medicine umane, terapie buone e il lavoro. Adesso si possono ascoltare le persone e le loro storie. Adesso dalla malattia mentale si può guarire e i gesti più oscuri e misteriosi possiamo raccontarli, illuminarli e comprenderli.
Oggi non possiamo più negarlo: tutto ciò che è umano ci appartiene.
E così possiamo riuscire a liberarci della necessità…ma chi l’ha detto poi, che è una necessità ?…del manicomio giudiziario. E se ce la facciamo a liberarci del manicomio giudiziario, chi ci dice che un domani non potremmo liberarci anche della necessità del carcere?
Io c’ero, in quel lontano mattino di marzo del 1973. Io c’ero quando contro i muri del manicomio di Trieste ululava il vento di bora e dentro si sentivano i lamenti e le urla dei ricoverati.
Cazzo, se c’ero! Io c’ero quando i manicomi erano ancora in piedi. E oggi non ci sono più.
E tra qualche anno mi piacerebbe tanto poter dire: pensate, io c’ero quel giorno a Montelupo Fiorentino, quando i manicomi giudiziari erano ancora in piedi.
E sembrerà una favola perché i manicomi giudiziari non esisteranno più e anche il significato di quelle parole si sarà perduto e quella frase suonerà strana, ridicola e senza senso. e tutti rideranno di me.
(dialogo scritto da Peppe Dell’Acqua, Angela Pianca, Luciano Comida)