Trieste, OPP San Giovnni, 23 settembre 1974.
….Si costituì un comitato per rendere più agevole l’organizzazione dei concerti di quell’estate. Il comitato era formato da un gruppo di giovani che facevano teatro e volevano promuovere eventi teatrali alternativi nel parco. Qualcuno di loro contattò Gino Paoli. Finiti i favolosi anni Sessanta cantanti come lui in quel periodo erano fuori dai giri e più attratti da iniziative come le nostre. Sarebbe stato un regalo straordinario per gli ospiti di San Giovanni.
Il 23 di settembre alle tre del pomeriggio arrivò Gino Paoli. Il teatro, lo splendido teatrino, un cammeo nel complesso di reparti e servizi del magnifico frenocomio di Trieste, aveva duecentocinquanta posti a sedere. Quel giorno dovemmo fare i conti con più di mille persone che volevano vedere lo spettacolo. Le infermiere del reparto Q volevano conoscere da vicino Gino Paoli, erano smaniose, avevano preparato un piccolo ricevimento dietro le quinte: prosciutto, pane fresco e malvasia. Eravamo in tanti entusiasti già prima dello spettacolo. C’era anche Rosina che si fece avanti prese Paoli per mano, gli chiese attenzione. Voleva dedicargli una canzone di benvenuto e con la sua voce limpida di bambina attaccò il popolare verso di Ruggero Leoncavallo “l’aurora di bianco vestita, già l’uscio dischiude al gran sol”
Rotto il ghiaccio lo spettacolo è un susseguirsi di emozioni, di battimani, di interruzioni. Come quando Bruna Piccolo, più di dieci anni al reparto agitate, sempre schiva, solitaria, arrabbiata, taciturna si porta sotto il palco esponendosi allo sguardo di tutti. Impacciata per aver osato tanto, cerca di smorzare la sua ben nota animosità e di parlare con la massima gentilezza di cui è capace: “ Ciò, signor Gino Paoli – grida decisa – la se cavi sti ociai neri che la vardemo inte i oci”. Si tolga gli occhiali neri che la guardiamo negli occhi. Applausi, evviva, grida, fischi. Gino Paoli capisce, si toglie gli occhiali scurissimi, sorride e continua a cantare. Dopo il concerto tutti a cena. Siamo in cinque del gruppo organizzatore e Gino Paoli che nel corso della serata ci rivela che quello è il giorno del suo quarantesimo compleanno e che quel concerto, in un luogo così insolito e in un momento così straordinario, sembra quasi un segno di svolta, o di un qualcosa che deve accadere nella sua, come nella nostra vita. Comunque di quel pomeriggio se ne ricorderà. Per festeggiare chiama una bottiglia di Calvados. Ci salutiamo che sono quasi le cinque del mattino. Io riesco a stento a reggermi in piedi. Da allora Gino Paoli diventerà un nostro compagno di viaggio e tante altre volte tornerà a Trieste.
(in “non ho l’arma che uccide il leone…” 180 archivio critico della salute mentale. ed ABverlag merano)