Mentre gli ultimi 4 internati escono da Barcellona Pozzo di Gotto, non possiamo non ricordare che proprio in quell’Opg la Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia ed efficienza del servizio sanitario nazionale, presieduta dal sen. Ignazio Marino, cominciò la sua indagine.
Era il 2010 e la Commissione, prefiggendosi di esaminare le richieste di riforma della Legge 180, che allora ancora erano numerose, decise di verificare da vicino lo stato della riforma, trent’anni dopo. Avviò un programma di visite nei servizi di salute mentale in diverse regioni. Qualche anno prima c’era stata già una visita parlamentare che aveva prodotto una prima immagine dello stato della “della psichiatria”; ma lo spessore e la profondità, e la chiarezza della relazione finale, fanno dei risultati dell’indagine della Commissione Marino un documento di estremo interesse, unico nel suo genere dall’avvio del processo di riforma.
Aveva appena avviato le visite, quando l’ennesimo allarme, il suicidio di un internato proprio nell’Opg di Barcellona, richiamò l’attenzione dei senatori, che immediatamente si recarono nel vecchio istituto siciliano.
I luoghi, gli uomini, le cose che videro sconvolsero tutti.
Nessuno dei senatori poteva credere ai propri occhi. D’altra parte nessuno aveva mai messo piede in territori da sempre ai confini estremi del mondo civilizzato. Occorre anche dire che, allora, come prima e come oggi, soltanto un numero esiguo di magistrati, pochissimi psichiatri e altrettanto pochi amministratori e politici avevano attraversato quei cortili, sentito i rumori e gli odori dei corridoi, l’aria e il tempo opprimente delle celle, lo stridore dei cancelli blindati, delle porte e delle chiavi.
I senatori, all’unanimità, decisero di spostare la loro attenzione non più e non solo ai servizi di salute mentale ma ora, soprattutto, al funzionamento degli istituti e alle condizioni di vita degli internati che, increduli, avevano scoperto.
Visitarono, con i modi dell’inchiesta, oltre Barcellona Pozzo di Gotto, anche Secondigliano, Aversa, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia e Castiglione delle Stiviere.
La scoperta di quegli orrori li rese incerti e incapaci di procedere. Era del tutto inconsueto che una Commissione parlamentare d’inchiesta si trovasse di fronte alla necessità non solo di denunciare le illegalità, ma anche di avvertire la responsabilità inderogabile di interromperle. Per la prima volta un’inchiesta parlamentare, a Montelupo e Barcellona, sequestrava strutture restrittive della libertà personale. La cosa non passò inosservata a diede vita a enormi polemiche.
Marino chiese che la Commissione fosse ricevuta dal Presidente della Repubblica. Questo passaggio, quanto mai inusuale, determinò la partecipazione accorata del Presidente Napolitano che esortò i senatori a tornare negli stessi luoghi e con le stesse modalità, documentare dettagliatamente quanto avevano veduto. Tutti dovevano sapere, disse.
Il video che pubblichiamo è un piccolissimo estratto di quella documentazione.
Da allora, tra accelerazioni e rallentamenti, il processo legislativo, la mobilitazione, la progettazione delle alternative, il coinvolgimento delle regioni non si è più fermato.
La Commissione decise di chiedere al Presidente del Consiglio (allora Mario Monti) di includere nella cd “legge svuota carceri” che si stava discutendo in Parlamento, un emendamento che stabilisse la chiusura entro un anno dei 6 Opg. Si prevedeva il rientro nelle regioni di provenienza di quanti impropriamente ancora internati, la realizzazione di strutture regionali atte ad accogliere i cittadini di quei territori ancora sottoposti a misure di sicurezza detentive. Si contavano al momento più di 1400 internati. Ora nelle Rems poco meno di 600.
Erano gli ultimi giorni di dicembre del 2011 e, a gennaio del 2012, la legge divenne operativa.
Le polemiche non tardarono ad arrivare e i frequentatori di questo Forum sicuramente le ricorderanno (vedi).
Si discusse molto sulla costituzione dei nuovi luoghi di internamento, da allora nominate Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, dicemmo “30 piccoli Opg” al posto di 6. Si discusse anche con asprezza sulla persistenza delle modalità carcerarie dei regolamenti, sulla vigilanza armata, sul filo spinato, i muri, le porte blindate, le telecamere. Il punto cruciale della questione era ancora una volta il paradosso della cura e della limitazione della libertà, il pregiudizio ingombrante della pericolosità, la persistenza dell’incapacità; degli articoli del codice penale del 1930 ormai anacronistici “sull’infermo di mente autore di reato”. Ancora la conferma del “doppio binario”, ancora l’esclusione del “folle reo” dal godimento del pieno diritto costituzionale.
Prima di arrivare alla legge n°81 del 2014 due proroghe sembravano allontanare per sempre l’obiettivo della chiusura. Molti pensarono che era da pazzi credere che i manicomi criminali si potessero veramente eliminare.
La discussione, il conflitto spesso aspro, non accadde invano. Si formò il cartello di StopOpg, di lì a poco Marco Cavallo riprese a viaggiare, entrò in tutti gli Opg. Incontrò tutti gli internati, fu ricevuto in senato dal presidente Grasso e di lì a poco dalla presidente della Camera Boldrini. E poi il lavoro della Commissione presieduta dalla senatrice De Biase, poi la legge 81, la discussione alla Camera, poi la instancabile e ostinata presenza di Stopopg, e poi le prime risorse del governo centrale che le regioni, talvolta loro malgrado, furono costrette a spendere per organizzare le alternative; e poi l’inatteso coinvolgimento di tanti operatori, dei dipartimenti, e poi la nomina del commissario ad acta e – finalmente – il comunicato orgoglioso della ministra: “Oggi è una giornata storica perché siamo arrivati al raggiungimento di questo fondamentale obiettivo che è il superamento definitivo degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), ormai realizzato in tutta Italia.”
Quanto di impensabile è accaduto oggi ci permette di avere una visione ancora più chiara e lunga di quanto ancora resta da fare.
Le Rems dovranno essere superate in ragione di sempre più frequenti e articolati programmi alternativi individuali; alcune Rems dovranno essere rivisitate al più presto per modificarne strutture murarie (orrende) e dispositivi di funzionamento, dipartimenti di salute mentale, magistrature di cognizione e di sorveglianza, servizi sociali dovranno sempre più essere capaci di consultarsi e convergere su progetti e percorsi individuali che abbiano prima di tutto l’obiettivo della cura e non della misura di sicurezza definitiva o peggio, come ancora troppo spesso accade, della misura di sicurezza provvisoria. E poi sulla “questione psichiatrico forense”, così come ancora dobbiamo considerarla, l’impegno dovrà essere ancora maggiore di quanto siamo riusciti a mettere in campo per chiudere gli Opg: la pericolosità, l’incapacità, la perizia psichiatrica solo per elencare qualche nodo.
Il lavoro della Commissione non si arrestò agli Opg, concluse la sua indagine sulla rete dei servizi di salute mentale e produsse la relazione finale “sulla medicina territoriale, con particolare riguardo al funzionamento dei Servizi pubblici per le tossicodipendenze e dei Dipartimenti di salute mentale” (leggi il testo della Relazione) a firma dei senatori Bosoni e Saccomanno, votata all’unanimità, rappresenta – a oggi – l’unico documentato rapporto parlamentare sullo stato dei servizi di salute mentale, sulle risorse e su come vengono investite, sulle organizzazioni, sui bisogni delle persone con disturbo mentale e delle loro famiglie. L’unico documento di un organo istituzionale che dettagliatamente denuncia lo squilibrio dei “20 servizi sanitari regionali”, il diritto costituzionale alla cura e alla salute, e alla salute mentale, negato a troppi cittadini, la distorsione e lo sperpero di denaro per il mantenimento di istituzioni misere e dannose, le porte chiuse e la contenzione nei Servizi psichiatrici di diagnosi e cura, la limitata presenza dei centri di salute mentale comunitari, la pletora di posti letto in nuove istituzioni, dette residenziali, pubbliche e private che poco si discostano da quanto avevamo creduto di aver lasciato alle nostre spalle. Ogni scelta e ogni deliberazione della Commissione fu unanimemente approvata da tutti. Un fatto rilevante in quel contesto politico che ricorda la coesione della deliberante sulla 180 nella primavera 1978.
Il documento del febbraio 2013 non può non essere che un accorato e urgente richiamo all’attuale governo per avviare un serio e meditato impegno culturale, istituzionale, politico ed economico sulla “salute” degli attuali servizi e sul declino che appare inarrestabile delle culture, delle politiche regionali, delle sensate amministrazioni.
Molti di noi pensano che sia necessaria una legge.
Forse nessuno di noi avrebbe potuto credere che, in circa 5 anni, si fosse potuto raggiungere appieno l’obiettivo della chiusura degli Opg. Molti di noi credono che è arrivato il momento di promuovere una svolta radicale: forse una legge. Se di legge potremo o vorremo parlare, questa dovrà essere in grado di mettere in campo le competenze e le passioni di tanti e di ognuno. E mettersi in ascolto. Non c’è più tempo per indugiare.
Molto si deve al sen. Marino e a tutta la Commissione che, partendo dall’assoluta sconoscenza di tutta la questione, ha lavorato con responsabilità e ha trovato l’unanimità su tutte le relazioni conclusive che sono conseguite all’inchiesta.
Nel clima di quegli anni, forse un esempio unico di un lavoro parlamentare utile e alla fine ricco di risultati.