Il 9 aprile scorso si è tenuta in Senato, alla commissione Welfare, la prima audizione sui disegni di legge “Disposizioni in materia di salute mentale”, a firma di Filippo Sensi e Deborah Serracchiani e “Disposizioni in materia di tutela della Sanità Mentale”, a firma dei senatori Magni, De Cristofaro e Cucchi. La legge rimette in moto una vecchia storia, quella iniziata alcuni decenni fa, prima a Gorizia e poi a Trieste, da Franco Basaglia di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita. Una battaglia cominciata negli anni ’70 ma che non è mai finita, che non potrà mai finire, e che oggi viene rilanciata con la campagna #180benecomune che arriva in un momento assai critico per il nostro paese; dove un progressivo smantellamento del welfare, la riduzione delle risorse per la sanità pubblica a favore del privato; una destra al governo che aggredisce i diritti civili e costituzionali, mettono in serio pericolo quanto si è faticosamente conquistato negli anni. Il Forum, guidato da psichiatri, e non solo, che hanno iniziato a lavorare al tempo di Basaglia e ne hanno introiettato il messaggio, da Peppe Dell’Acqua a Carla Ferrari Aggradi a Roberto Mezzina, ha il principale scopo di tutelare quei principi e quella storia, soprattutto quelle parole che sono state la base di una rivoluzione culturale, la chiusura dei manicomi, la restituzione dei diritti e della dignità alla persona, la vicinanza e l’ascolto come cura.  Quella riforma, che Norberto Bobbio definiva l’unica vera riforma del dopoguerra, entrata da tempo nei modelli dell’OMS, è sempre stata contrastata fin dall’inizio e oggi messa ancora più in pericolo da politiche regionali frammentarie e da un insieme di segnali di negazione dei suoi principi ispiratori che arrivano anche dalle Università e dalle psichiatrie dominanti. Il nuovo disegno di legge vuole favorire la piena realizzazione dei principi stabiliti nella 180, verso un quadro dei servizi di maggiore uniformità nazionale e di maggiore integrazione, oltre al contrasto della contenzione e a una revisione del Trattamento sanitario obbligatorio nel senso di introdurre maggiori e più attente garanzie. Nel nostro Paese, afferma l’assemblea  Forum, i servizi per la Salute Mentale vivono una condizione di grave crisi a fronte di un aumento significativo della richiesta ma con meno del 3% della spesa sanitaria nazionale destinato alla salute mentale. Le cure sono sempre più orientate a risolvere i problemi con i farmaci, o a costruire strutture alternative nel privato, fino a una dismissione del servizio pubblico.

Ne parliamo con Peppe Dell’Acqua, psichiatra a Trieste, tra i fondatori del Forum e tra i maggiori sostenitori e divulgatori del messaggio di Basaglia:

Sono cent’anni dalla nascita di Basaglia e più di quaranta dall’avvio nel nostro paese di una legislazione sulla salute mentale. Nella legge Giolitti del 1904 i pazienti si definivano “Alienati”, una parola che conteneva già in sé il concetto di separazione dal mondo. Da allora un po’ di passi avanti sono stati fatti, dalla Legge 431 del ’68 arrivarono i Centri di Igiene mentale, ma fu con la Legge 180 di Basaglia che si aprirono i manicomi e soprattutto gli “alienati” diventano persone. Oggi con il Forum Salute Mentale si sta facendo un ulteriore passo con la campagna #180benecomune. Di che si tratta e che cosa deve ancora cambiare?

“In questo semestre in cui si ricorda il compleanno di Basaglia che avrebbe compiuto cento anni nel 2024, non significa creare un santino ma dire e ribadire che quanto è accaduto in questi ultimi cinquanta anni è qualcosa di profondo e impensabile e non possiamo perdere il senso cambiamento che ha comportato; in questi cinquant’anni abbiamo capito che la guarigione non è solo possibile ma è la nostra stessa ragione di essere; è questa diversità il bagaglio, l’attenzione costante ad accogliere la diversità, la nostra capacità di essere con gli altri. Quella di Basaglia è stata una rivoluzione culturale che ha contaminato tanti altri campi, la scuola, l’ordinamento penitenziario solo per dirne alcuni. Oggi ci chiediamo cosa altro c’è da fare. Ancora molto anche se l’ottimismo è scemato e si guarda agli anni trascorsi con occhio critico e addolorato; il dolore per le tante cattive pratiche che ci sono in troppi luoghi della cura. Il dolore sta nel fatto che tutto ciò che abbiamo appreso, le nuove culture, lo sguardo differente, i diritti costituzionali riconosciuti, le forme di cura della persona si riducano sempre di più. Che tutto si sgretoli sotto l’indifferenza dei nostri occhi. È sceso come un velo nero a coprire tutto, con “buone terapie farmacologiche”, quando va bene”.

La situazione della sanità in generale, anche dopo il covid, è peggiorata, rigurgiti a destra che vogliono mettere in discussione i diritti acquisiti, meno risorse alla sanità pubblica e più al privato, una politica nei centri di salute mentale che guarda al mercato, crea piccoli centri di eccellenza per pochi utenti e va verso la dismissione generale della cura da parte del pubblico.

Noi abbiamo pensato che la rivoluzione di Basaglia dovesse andare di pari passo con la consapevolezza della necessità della relazione con l’altro ma questo non è accaduto. Le pratiche distanti delle psichiatrie hanno ripreso il sopravvento sulla dimensione storica, singolare, relazionale dove le diagnosi non ammettono emozioni e tutto si restringe nei protocolli, nelle leggi, nei poteri delle accademie;  Basaglia resta ancora bandito dall’establishment psichiatrico. Il governo di destra ha certo peggiorato le cose, diciamo che ha trovato un terreno già predisposto negli ultimi decenni dove è prevalsa la cultura psichiatrica che guarda principalmente “alla diagnosi e poco alla persona”; nessuno ha insegnato ai giovani a vedere criticamente la diagnosi e su questo ha giocato tanto la sinistra quanto la destra; la riforma del Titolo V ha fatto il resto così che ogni Regione si è costruita la sua salute mentale. Ma dove stanno i centri aperti ventiquattro ore al giorno? Cosa non ha funzionato? Un gap culturale, solo Papa Bergoglio ha parlato della consapevolezza dell’umano che non si può mai perdere; agli psichiatri si insegna a tenere la distanza dal soggetto, che è esattamente l’opposto dell’incontro con l’altro.

Lei è un salernitano che è andato al Nord  negli anni ’70 dove si è realizzata a Trieste una esperienza magistrale di cura che è diventato un esempio di buona pratica mondiale. Tutto questo nel sud non è mai arrivato e nei casi migliori i centri di salute mentale offrono un’assistenza in gran parte farmacologica e di mediocre se non inesistente integrazione.

Se guardo a tutte le regioni e le province italiane,  qualcosa è accaduto, su 320 servizi di diagnosi e cura, quelli che stanno negli ospedali, gli SPDC, dieci, quindici fanno perfettamente il loro lavoro: porte aperte, accoglienza, contenzione bandita. È qui che arrivano le persone in preda alla paura, al dolore acuto, al terrore di una morte imminente. Di un nemico crudele e vendicativo; ed è qui che si gioca la partita dell’ascolto; ed è qui che si avverte maggiormente la mancanza del legame con il servizio territoriale che è stato progressivamente depotenziato come è stata depotenziata l’intera sanità pubblica. Oggi c’è un governo di destra che sta affrontando con rigore ideologico ostile, le conquiste faticosamente raggiunte, grazie alle quali sono nate pratiche e contributi che ancora funzionano. Le persone hanno cominciato a guardare alla guarigione; sono passate da una condizione di destino a una di possibilità ed è questo che ci rende felici; ci sono ragazzi di 20 anni che esordiscono nella psicosi e che solo per ragioni geografiche entrano in un percorso di ripresa e di presa in carico; altri invece si ritrovano a divincolarsi dalle fasce, dalle contenzioni che riducono se non annientano ogni possibilità di ripresa.” 

Eppure dalla Legge Basaglia si è creato negli anni una vasta rete di associazionismo, cooperative, servizi, case famiglia, gruppi appartamento, comunità terapeutiche che hanno anche dei costi per il pubblico ma ciononostante la persona con disturbi mentali difficilmente si integra nella società e la cura resta a carico della famiglia; per questo stanno nascendo esperienze di altro genere non sanitarie, come il progetto Itaca che ha creato dei club gestiti dagli operatori e dai pazienti e dove si insegna a trovare un lavoro e a stare con gli altri. È questo il modello del futuro, oltre i manicomi, oltre i centri di salute mentale?

“Il percorso extra sanitario è un altro lascito della rivoluzione gentile sempre che vada in parallelo con la crescita della rete dei servizi, se questa è capace vicinanza e ascolto; sono i percorsi in cui le persone cominciano a camminare da sole;  non possono essere il frutto della fragilizzazione dei servizi pubblici; se la rete non è più capace di garantire assistenza, è difficile che il clubhouse possa assumere quello che resta; così le comunità terapeutiche, altro momento molto positivo,  sempre se hanno una dimensione complementare al servizio pubblico e non di supplenza. La fragilità dei servizi pubblici diventa assenza, una perdita di potere e di efficacia, e porta necessariamente ad altre forme di sostegno; è solo il servizio pubblico che può indicare la strada e che può prendere in carico nel corso del tempo quella persona”. 

Lei è il maggiore divulgatore del messaggio di Basaglia, porta in giro nel paese il famoso Marco Cavallo, collabora a documentari e film sulla salute mentale, di cui abbiamo visto di recente in televisione “E tu slegalo”; ha scritto libri fondamentali come “Fuori come va? Famiglie e persone con schizofrenia. Manuale per un uso ottimistico delle cure e dei servizi”; si occupa di promuovere innovazioni legislative, di recente ha scritto una lettera al Ministro Schillaci per richiamare l’attenzione sul tema. Tutto questo anche dopo aver lasciato del Dsm a Treste, una vera e propria missione la sua.

Noi, i maratoneti della 180 (!), ripresentiamo questo nuovo disegno di legge: sono 17 articoli che non toccano in alcun modo la legge ma vogliono introdurre il concetto di 180 Bene comune. Sono i due disegni di legge che in fondo ispirano questa campagna.  Sono stato nei giorni scorsi a Bassano dove ho partecipato a un pomeriggio di studio con i giovani volontari del Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza (Cnca).  In tanti, con le nostre ferite, aspirazioni, speranze, cominciamo con maggior convincimento a convergere e trovare alleanze. Va messo in gioco il proprio corpo soprattutto se si considera che non esistiamo più come corpo sociale; se riusciamo a rimetterci in gioco come persone felici, appassionate alla narrazione di Basaglia, allora forse riusciamo a vincere, ad arrivare a Roma, magari con il Papa. All’ultimo incontro del Forum è intervenuta Elena Cerkvenic, una donna che ha vissuto e vive, ora con consapevolezza la ventura del disturbo mentale, autrice di un bellissimo libro che sta per uscire in libreria, “Sono schizofrenica, e amo la mia follia”. Elena racconta un sogno, nel quale incontra in un giardino Basaglia seduto su una panchina e gli dice, grazie, senza di lei chissà dove sarei ora. “Lei mi ha donato una nuova vita. Quella che avevo prima era solo un’esistenza soffocata, rinchiusa in un mondo di etichette e camicie di forza, causate dalla mia sofferenza psichica. Lei mi ha insegnato che la pazzia non è un crimine, ma una diversa sfumatura dell’animo umano”. Noi dobbiamo continuare a realizzare questo sogno, il sogno di Elena, nelle sue parole c’è tutto quello che non abbiamo coltivato a sufficienza, c’è il richiamo alla necessità di continuare a pensarci insieme ed è questo tutto ciò che abbiamo”.