di Luigi Colaianni (Aracne ed, 2009)
«I temi correlati al “consenso informato” in medicina sembrano appartenere a una sorta di diritto naturale, e quindi essere costitutivi della prassi medica sia per gli aspetti etici, sia per quelli metodologici. Tale apparenza viene a cadere se si considera come l’informazione per il consenso compaia nella storia della medicina e nella giurisdizione solo recentemente. Su tale sfondo si colloca la pratica del consenso informato in ambito psichiatrico, con le criticità correlate, ovvero, come la retorica “psy” afferma, in ambito di “salute mentale”. Se con la legge 180/78 la psichiatria è stata ridefinita nella cornice della medicina biologica e dei suoi luoghi “normali” (ospedali civili, ambu- latori, strutture residenziali di riabilitazione), ci si domanda se essa si sia adeguata agli standards di scientificità e etici richiesti a qualunque disciplina medica, se abbia sviluppato una riflessione autonoma sulle sue criticità e sulle eventuali fallacie fondative, o se costituisca una sorta di zona “franca” in cui, sia il rigore del modello della medicina biologica, sia gli aspetti prasseologici relativi al consenso informato risultano sospesi e comunque trovano scarsa coerenza e attuazione. Il testo offre al lettore la trattazione del tema, comparando quanto è previsto in medicina per l’informazione per il consenso con quanto avviene in psichiatria e offre una diversa prospettiva per risolvere le criticità che lo stesso statuto della disciplina psichiatrica genera, al fine di implementare la partecipazione degli utenti al trattamento».