Chi volesse attraversare la letteratura e gli articoli scientifici della psichiatria di ogni tempo, troverebbe un mondo pulito, silenzioso, geometrico. La Ragione domina la follia dal giorno stesso della nascita della psichiatria. Nella copiosa letteratura psichiatrica non si trova ombra di una sofferenza, di un dolore umanamente comprensibile. Non un odore, non un grido, una voce, un silenzio. Non una prepotenza subita o esercitata. Emozioni e sentimenti raggelati nel linguaggio della clinica si sovrappongono come sintomi alle persone e vengono sigillati in impenetrabili contenitori.
Il Piano d’Azione Nazionale (vedi) non sfugge a questa condizione: non c’è traccia alcuna di persone, di salute mentale, di organizzazioni. Si legge di una psichiatria che vuole apparire “moderna” senza riuscire a liberarsi dalle antiche origini.
La premessa ripercorre inutilmente i più importanti documenti prodotti dal nostro Paese, dall’OMS, dal Parlamento Europeo dove si parla di salute mentale, piani d’azione conseguenti, centralità del “cittadino, persona, individuo”. Dove si afferma il diritto inalienabile all’uguaglianza e alla libertà di tutti i cittadini, anche se folli. Le parole cittadino, persona, individuo, ricorrono ossessivamente nella Dichiarazione di Helsinki dell’OMS e nel Libro Verde del Parlamento Europeo. Senza voler banalmente ricordare la Legge 833/78 e i Progetti Obiettivi a essa conseguenti. Verrebbe da ricordare qui la forza di orientamento, di regolazione e di innovazione della Costituzione più bella del mondo.
Poi però il Piano ripiega, senza entusiasmi e con uno stanco sguardo all’indietro, sulla psichiatria e corre verso un passato che tutti abbiamo negli occhi.
Anche l’Angelo della Storia ha la testa rivolta all’indietro, ma lui corre veloce, come in una tempesta, verso il futuro. (1)
Invece nel documento, quasi come scorrendo un testo di clinica o di semeiotica psichiatrica, ritroviamo patologie, diagnosi, disturbi mentali, includendo quelli più recenti (o più di moda, o più redditizi). Ritroviamo malattie e schemi terapeutici: l’allusione alle farmacologie è quanto mai evidente. L’imminenza del DSM V, d’altra parte, non poteva non condizionare una psichiatria, quella del nostro paese, molto sensibile alle culture anglofone e a Big Pharma.
Non una parola sui Centri di salute mentale svuotati di significato e resi inutili in pratiche burocratiche, impoveriti e ridotti alla caricatura di se stessi.
Non una parola sui Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura, che oramai gli psichiatri chiamano ‘Reparti psichiatrici ospedalieri’, con le porte blindate e le guardie giurate con la pistola, le telecamere, i letti di contenzione. E le morti per contenzione e per farmacologie spregiudicate.
Non una parola – ma come avrebbe potuto quel documento! – sulla presenza ormai dominante di un privato mercantile e sociale nelle strutture (orrendamente) residenziali. Luoghi che continuiamo a chiamare “comunità terapeutiche”. Non una parola su una quantità di risorse, milioni e milioni di euro, che vengono dedicate, senza possibilità di deroga, per mantenere in piedi questi luoghi che oramai, aldilà di qualsiasi finzione, sono diventati luoghi definitivi. Senza uscita.
A nulla servono le foglie di fico per coprire quest’evidenza.
Le parole “integrazione, presa in carico, progetto terapeutico individuale, abitare assistito, inserimento lavorativo, coinvolgimento e partecipazione delle famiglie, recovery e percorsi di guarigione”, tutte desunte dalle ricche pratiche di salute mentale comunitaria, territoriale che pure esistono e in taluni luoghi sono eccellenti nel nostro paese, sembrano i parenti poveri che arrivano al pranzo di gala col cappello in mano, seduti in un angolo del tavolo nell’imbarazzo dei padroni di casa.
Il Piano discute e definisce diagnosi, cura e trattamento nella stessa rarefatta atmosfera di irrealtà dei manuali di psichiatria. Oscurando la quotidianità dei luoghi dove vivono veramente gli psichiatri, chiusi negli ambulatori e impegnati in prima linea ad affrontare la ‘domanda d’aiuto’ delle persone con disturbo mentale. Quasi uno scalcinato esercito inviato al fronte della normalità per difenderci dai malati di mente in trincee fangose,fredde e ingenerose.
Il modello che emerge da questo non utile documento è l’immagine pantografata di quanto già sta accadendo nei sistemi di salute mentale in quasi tutte le Regioni, in una deriva di politiche regionali distratte (?) e dal ritorno, sempre più acritico, del paradigma psichiatrico. Perfino il presidente dell’APA (American Psychiatric Association) promotrice del DSM, nel prendere atto dell’estremismo ideologico del manuale che sta per uscire, segna con amara ironia come “bio-bio-biologico” quanto emerge dallo stesso DSM V.
Ma qual è il modello che tra le righe si legge nel Piano? Lo stesso che amaramente denuncia il presidente dell’APA: un paradigma medico che gli stessi medici da tempo cercano di superare. L’acuzie da un lato e la cronicità dall’altro. Servizi ospedalieri, letti e ambulatori per la prima, contenitori per la seconda. Un assetto che ha già dimostrato la sua totale incapacità di offrire concrete possibilità alle persone e alle loro famiglie. Il “territorio”, il sistema delle reti dei servizi, tanto invocati, scompaiono per ricostruirsi come “ambulatori” per malattie mentali ben integrati al modello dell’acuzie e della cronicità.
Quasi negli stessi giorni la Commissione parlamentare d’inchiesta sul SSN ha approvato la relazione conclusiva, frutto di un ampio percorso fatto di sopralluoghi, di verifiche, di audizioni, di testimonianze raccolte in molte regioni italiane. E ne abbiamo parlato diffusamente (vedi testo e articolo di commento).
Le Linee d’Indirizzo del Piano, al confronto scoloriscono. E tuttavia nella cornice del sistema di servizi di salute mentale (forti?) che la Commissione ci invita a immaginare possono trovare un’utile collocazione anche attente competenze psichiatriche.
La relazione finale sembra aprire a una nuova stagione di politiche per la salute mentale. Vogliamo essere fiduciosi che il governo che vogliamo immaginare saprà parlare con coraggio e fuori dai luoghi comuni di salute mentale
(da Il Sole 24 Ore Sanità, 19 febbraio 2013)
(1) “C’è un quadro di Klee che si chiama Angelo della Storia. Vi è rappresentato un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui ha fisso lo sguardo. I suoi occhi sono spalancati, la bocca è aperta, e le ali sono dispiegate. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un’unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e riconnettere i frantumi. Ma dal paradiso soffia una bufera, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che l’angelo non può più chiuderle. Questa bufera lo spinge inarrestabilmente nel futuro, a cui egli volge le spalle, mentre cresce verso il cielo il cumulo delle macerie davanti a lui. Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera“. (dalle tesi Sul concetto di storia, di Walter Benjamin, Einaudi, 1997, pp. 35-7)
1 Comment
Caro Peppe,
se tutto è economia e punti Qualy per curare la gente è forse ovvio che il ritorno al modello biologico e del genoma “guasto” per spiegare le psicosi e i comportamenti non autoconservativi prevarrà nel DSM V ? Mi pare che la depressione economica e l’anomia incitino alla restaurazioni di modelli elementari S-R, che non guardano più nè alla complessità, nè ai motivi primari delle terapie che dovrebbero porre l’individuo al centro con oculatezza nel rapporto costi/benefici ma anche con solidale generosità che non vuol dire spreco di risorse ma adeguato impegno di esse in Salute Mentale.