A più di 35 anni dalle conferenze che Franco Basaglia tenne in Brasile, di seguito una testimonianza raccolta da Ernesto Venturini.
[…] Durante i seminari ribalta sugli interlocutori le domande che gli vengono poste, stimolando nuovi livelli di consapevolezza. Più volte dichiara di non avere le risposte, di essere lui stesso alla ricerca di una risposta. Detesta i luoghi comuni, sa che “è più facile convivere con il preconcetto che con la libertà”. Particolarmente intenso è il suo soggiorno a Belo Horizonte. Dopo aver visitato alcuni ospedali psichiatrici della città, Basaglia si reca nella città di Barbacena, distante circa 170 chilometri, per conoscere un ospedale per cronici, la cosiddetta Colonia. L‘impressione prodotta da queste visite, e soprattutto quella prodotta da quest‘ultimo viaggio, è così intensa da lasciare Basaglia profondamente scosso e depresso. Così, quando la sera del 4 luglio, si apre il seminario a Belo Horizonte, lui si rifiuta di parlare. C’è un silenzio lungo, pesante nella sala e, solo dopo l’insistenza del pubblico, Basaglia prende la parola, con dolore e con rabbia: “Ci sono posti al mondo in cui la storia si è fermata…ci sono situazioni in cui è impossibile trovare soluzioni di compromesso, perché, se lo facciamo, andiamo al compromesso con la morte. E con la morte non è possibile nessun compromesso.”. Basaglia denuncia di aver visto a Barbacena una situazione “peggiore di un campo di concentramento.” Commuove il pubblico parlando delle milleseicento persone rinchiuse in cortili lerci, sedute sulle proprie feci, nude e legate. Ha visto la fame e la degradazione umana prodotta dal manicomio, ha sentito i lamenti e le richieste di persone che non avevano altra speranza che la morte e ha sentito le gelide frasi di condanna espresse dal direttore del manicomio: “Di fronte a un malato, nei confronti del quale voi sapete che non hanno effetto né i farmaci né alcun altro trattamento, la soluzione è ancora il vecchio metodo medievale. Si lega il malato mani e piedi, lo si lascia marcire in una cella e si aspetta. Al massimo potrà arrivare un neurochirurgo, che finirà per trasformare quel malato in un vegetale, togliendoli ogni residua volontà ed emozione.” Basaglia, però, reagisce: tutti devono conoscere, tutti devono assumersi le loro responsabilità. Nasce l’idea di realizzare un grande incontro pubblico; si cercheranno di coinvolgere quante più persone e associazioni possibili. Sono contattate le rappresentanze delle infermiere, degli psicologi, degli assistenti sociali, del sindacato dei medici. S’interpellano le operaie del sindacato dei tessili, i deputati federali, gli ex prigionieri politici, gli ex pazienti. Basaglia rilascia interviste sui giornali, nazionali e internazionali, parla alla radio e alla televisione locale. Il 7 luglio si apre un seminario al quale partecipano rappresentanti dei comitati di quartiere, giornalisti, persone provenienti da São Paulo e da Rio, rappresentanti del Centro Brasil Democratico. Il dibattito è teso, effervescente. Il presidente dell’Associazione Brasiliana di Psichiatria – Ulysses Viana Filho – afferma, polemicamente, che è folle pensare di poter cambiare la società partendo dalla follia e dalla psichiatria. “Non è vero – risponde Basaglia – che lo psichiatra abbia due possibilità, una come cittadino e l’altra come psichiatra. Ne ha una sola: come uomo. E come uomo, io voglio cambiare la mia vita. Voglio cambiare l’organizzazione sociale; e non con la rivoluzione, ma semplicemente esercitando la mia professione di psichiatra… Se tutti i tecnici esercitassero la loro professione, questa sì che sarebbe una vera rivoluzione. Quando trasformo il campo istituzionale in cui lavoro, io cambio la società… e se tutto questo, a qualcuno, può sembrare un delirio di onnipotenza, allora viva l’onnipotenza!” Il seminario termina in un clima di forte emozione. Viene redatta una mozione che denuncia la situazione inumana degli ospedali psichiatrici e che chiede la chiusura immediata dell’ospedale di Barbacena. La mozione è presentata al Governatore dello Stato di Minas Gerais.