La contenzione, le porte chiuse, la violazione del corpo rappresentano lesioni gravi dei diritti umani e sono pratiche mortificanti per chi le subisce e per chi le esercita. Sono la conseguenza dell’assolutizzazione del paradigma biologico e delle pratiche riduttive ad esso connesso. La rinuncia e la mortificazione degli operatori e la perdita delle infinite risorse che sguardi differenti e diversamente motivati possono introdurre nel campo del lavoro di cura sono una conseguenza drammatica. Povertà di risorse, di programmi, di strategie confermano in un gioco perverso la separazione, l’oggettivazione, l’isolamento e legittimano la contenzione. Stigmatizzazione, discriminazione, “false inclusioni” finiscono per essere i terminali inevitabili di questi percorsi. In Italia oggi, in 7 su 10 dei Servizi psichiatrici di diagnosi e cura, la contenzione è pratica diffusa. Di routine in alcuni luoghi, più raramente in altri. Una ricerca dell’Istituto superiore di sanità del 2002 accertava questo dato e le cose, purtroppo, più di dieci anni dopo, non sono cambiate. Bisognerebbe oggi, con maggiore rigore, aggiornare il dato e prendere atto di quanto questa pratica è diffusa. Nel giorno dell’indagine, in alcuni servizi psichiatrici, erano legate fino a 4 persone contemporaneamente. Fu all’epoca rilevata anche la presenza di minori ricoverati nei servizi psichiatrici ospedalieri per adulti e che subivano la contenzione. Negli ultimi dieci anni, la pratica della contenzione nei confronti dei minori anche nei reparti di neuropsichiatria infantile non ha smesso di essere esercitata. Da quanto siamo in grado di sapere da osservazioni empiriche la pratica della contenzione si ritrova anche in istituti e comunità che si occupano di adolescenti. Quanto accade in Italia è consuetudine in ogni parte del mondo, nei paesi ricchi, come più tragicamente nei paesi poveri e poverissimi.
L’illiceità del trattamento è riconosciuta da tutti e dovunque, anche quando le scarse risorse delle organizzazioni e l’esiguo numero di personale fanno apparire inevitabile il ricorso alla contenzione. Nella maggioranza dei luoghi della cura, si ricorre a questo trattamento e con imbarazzo si fa di tutto per non dire. La contenzione viene imposta per restringere i movimenti dei pazienti, per compensare un’inadeguatezza numerica del personale del reparto, o evitare interventi clinici più appropriati; per costringere un paziente a soggiacere alle volontà dello staff; per somministrare punizioni per comportamenti di insubordinazione. A nulla serve sapere che della contenzione si può fare a meno. Ci sono pochi luoghi in Italia, come in altri paesi, dove gli operatori e le organizzazioni sanitarie si pongono con rigore il problema, accettano di interrogarsi e vedono come limite e fallimento del lavoro terapeutico il ricorso a qualsiasi titolo alla contenzione. Molto hanno fatto le campagne contro i trattamenti restrittivi e le denunce di autorevoli organismi internazionali. Eppure l’inerzia delle organizzazioni sanitarie, la disattenzione degli amministratori, il lungo e faticoso riposizionamento dello sguardo della psichiatria sul malato di mente rallentano, fino a rendere utopica, l’abolizione delle pratiche contenitive. Le preoccupazioni per la sicurezza degli operatori impegnati nella gestione del malato definito“aggressivo” diventano spesso ragioni di forte resistenza da parte degli operatori e dei sindacati verso qualsiasi possibilità di cambiamento. Al contrario è ormai evidente che laddove i Servizi psichiatrici tengono aperte le porte, i centri di salute mentale sono disposti a farsi carico della crisi, dei comportamenti più preoccupanti, a muoversi verso i conflitti e le persone, la contenzione è stata superata e il rischio di infortuni, nei quali possono incorrere gli operatori nel contatto fisico con i pazienti, è diminuito sensibilmente. In questo senso è possibile affermare che l’uso delle contenzioni compromette la sicurezza dell’ambiente lavorativo. Uno studio che ha coinvolto tre stati americani in reparti dove si pratica correntemente la contenzione ha mostrato che per 100 operatori della salute mentale corrispondono 26 infortuni fisici. Questo tasso di infortuni è più alto persino di quello dei lavoratori delle “industrie ad alto rischio”, come falegnamerie, cantieri e miniere. Il risultato più rilevante dell’indagine dell’Iss del 2002 non è tanto il grande numero di servizi con le porte chiuse, ma l’evidente possibilità che della contenzione e delle porte chiuse sia possibile fare a meno. I Servizi psichiatrici ospedalieri sono 320, diffusi in tutto il territorio nazionale, almeno in 90 di questi non si ricorre alla contenzione e le persone non rischiano un trattamento così degradante.
È singolare osservare che negli ultimi due anni alcuni Ospedali psichiatrici giudiziari abbiano cercato di adottare regole e obiettivi per ridurre la contenzione. In almeno 2 dei 6 istituti – Reggio Emilia e Montelupo Fiorentino – il ricorso alla contenzione, mentre sono ancora in funzione, è stato quasi del tutto abbandonato.
Contenzione e porte chiuse rimangono in assoluto i segnali più evidenti delle “cattive pratiche” e devono rappresentare il punto da cui muovere per una campagna nazionale per la soppressione dei comportamenti coercitivi in psichiatria. Il Forum intende valorizzare il progetto “no restraint” che ha raccolto Servizi psichiatrici di Diagnosi e Cura e operatori che sono impegnati a promuovere la cultura e la pratica della “porta aperta” ed hanno abolito ogni forma di contenzione. In tutte le regioni bisognerà promuovere movimenti, iniziative, denunce per portare il problema all’evidenza delle autorità regionali, delle aziende sanitarie, dei dipartimenti di salute mentale, dell’opinione pubblica, dei cittadini. Le singole aziende dovrebbero sostenere progetti finanziati che incentivino i comportamenti virtuosi di gruppi di operatori e dei dipartimenti di salute mentale.
E’ molto sentita dalle persone che hanno subito la contenzione, da molti familiari ed operatori la necessità di attivare un comitato nazionale di difesa formato da giuristi ed avvocati per la raccolta di testimonianze e di denuncie delle pratiche coercitive e degli abusi.
Il Forum salute mentale, che ha promosso e sostiene la “collana 180. Archivio critico della salute mentale”, presenterà a Pistoia per avviare la campagna due libri che speriamo viaggeranno molto e saranno pretesto per eventi che numerosi dovranno essere organizzati.
Si tratta di “..e tu slegalo subito. Sulla contenzione in psichiatria”di Giovanna Del Giudice (vedi) e di “Il nodo della contenzione. Diritto, psichiatria e dignità della persona” a cura di Stefano Rossi (vedi).