Di Silva Bon[*]
Sono una cittadina, sono una storica e sono una persona che ha esperienza di sofferenza mentale – io vivo l’esperienza di sentire le voci – mi sento coinvolta, in maniera particolarmente forte, totalizzante a partecipare a questo incontro.
Dobbiamo denunciare le difficoltà che riguardano in questo momento l’ambito della salute mentale pubblica in Regione e in Italia: infatti essa è messa sotto forte attacco in favore di interessi privati, e di mentalità e di pratiche che vogliono tornare al passato. Questo problema tocca tutte e tutti noi, perché la tutela della Salute mentale pubblica è fondamentale come diritto dell’individuo e interesse della collettività.
Oggi, i muri del rifiuto, i muri della reclusione sono quelli delle porte chiuse a chiave; della contenzione fisica; dell’eccesso farmacologico e chimico; della messa in atto di pratiche aberranti come l’elettroshock. Ci sono stati perfino recenti casi di morte per manicomio. Sono realtà che ritornano in Italia e che noi, persone con esperienza, rifiutiamo e denunciamo.
Io ho avuto la fortuna di vincere la lotteria della nascita: vivo a Trieste, e tutte le volte, numerose e ripetute volte, in cui ho avuto bisogno di cure, sono stata accolta nei Centri di Salute Mentale gestiti dal Dipartimento di Salute Mentale di Trieste, dove ho trovato totale rispetto per l’integrità della mia persona, secondo i principi che regolano la psichiatria basagliana.
Penso, e sono convinta per averlo sperimentato, che l’insegnamento di Franco Basaglia sia una rivoluzione giusta e sacrosanta: si basa su principi che distruggono i luoghi chiusi, i manicomi istituzionalizzati, dove la spersonalizzazione e la mancanza di dignità delle persone sofferenti erano lo status reale contingente.
I principi basagliani aprono le porte della reclusione totale. Valorizzano l’umanità e la soggettività delle persone; danno nuovamente diritti, il diritto a cure che tengono conto delle storie di vita, delle narrazioni che stanno prima e dietro della sofferenza mentale; il diritto a poter abitare una propria casa; il diritto al lavoro retribuito secondo regole sindacali; il diritto completo di cittadinanza, secondo i dettami della Costituzione italiana e i principi emanati oggi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
La libertà è terapeutica. Fuori dalla contenzione fisica e chimica. Le porte aperte.
Senza negare la realtà della malattia, noi tutti, persone con esperienza, sappiamo, ribadiamo che è terapeutica anche la possibilità di costruire relazioni positive con gli operatori di riferimento; di lavorare insieme alla crescita e al cambiamento progressivo del proprio standard di vita; di pensare progetti di cura articolati, finalizzati ad ogni singola persona; di giungere, attraverso una maggior consapevolezza dei propri bisogni, anche alla negoziazione nell’assunzione dei farmaci; di poter chiedere aiuto in qualsiasi momento del giorno e della notte, 24 ore su 24, in ogni giorno dell’anno, 365 giorni all’anno, ed essere subito ascoltati e presi in carico.
Certamente ci deve essere anche la volontà della persona nel determinare il cambiamento, percorrendo e puntellando il viaggio verso un miglioramento, una ripresa, un superamento del momento di crisi. Una forma possibile di benessere psicofisico dipende anche dal senso di responsabilità e di consapevolezza di ciascuno di noi, chiamato a contribuire alla costruzione della propria salute mentale.
Penso, spero, che questa nostra testimonianza, qui ora, possa dare un senso a tutta la nostra sofferenza, possa costituire un momento di lotta contro lo stigma della malattia mentale. Perché noi non siamo la diagnosi che ci può essere applicata addosso, siamo, e lo rivendichiamo fortemente, persone che hanno competenze diverse, interessi, attitudini, persone complesse e complete, oltre l’esperienza della follia.
I muri del pregiudizio sono fuori, nella società, intorno a noi, e molto spesso anche dentro di noi: dobbiamo lottare contro lo stigma. Per acquistare sicurezza, forza, orgoglio addirittura, anche dall’esperienza della sofferenza, se attraverso essa, in un passaggio più o meno difficile, più o meno tortuoso, viviamo il cambiamento verso uno stadio di vita migliore, più accettabile, che può portare anche a fasi lunghe di benessere e salute mentale.
Del resto senza salute mentale, semplicemente non c’è Salute.
Il cammino della ripresa dura tutta la vita, il cambiamento è possibile finché si è in vita. Voler cambiare, rendere il processo di evoluzione concreto è un impegno totale, che dà senso alla nostra esistenza.
Fuori dal manicomio, noi, persone con la esperienza di sofferenza mentale, abbiamo ritrovato, vivendo restituiti nella/alla Comunità, cittadinanza, parola, senso e diritti.
La Liberazione è un processo. La Resistenza è, sempre.
[*]Intervento di Silva Bon, associazione Luna e l’Altra – Trieste, letto nel corso della Conferenza FVG per la Salute Mentale tenutasi a Zugliano l’11 maggio 2019