Vorrei iniziare con un consiglio: parlare difficile per darsi un tono non serve, anzi talvolta si rischia di non fare una gran figura. Parlare di “nuovi tossici esogeni di abuso” invece che usare il termine “droghe” è veramente comico. Non è peraltro da escludere che si tratti di un gesto consapevole. Quando si scrive un testo che contiene termini tecnici per il 25,5% del totale delle parole usate, e che ha un indice di leggibilità (Gulpease) di 41, è buona norma inserire ogni tanto una battuta.
Però, in fondo, si capisce quello che c’è scritto: la struttura delle REMS può rivelarsi inadatta a gestire individui con gravi disturbi di personalità, cioè gli psicopatici. Ho usato 18 parole al posto di 2.148.
Cos’è uno psicopatico? Molto correttamente gli Autori ce ne forniscono una descrizione: “soggetto intollerante alle regole, manipolativo, proteso ad utilizzare gli altri strumentalmente, spesso freddamente violento o abusante, mentitore, irrefrenabile, autoritario e prevaricatore se non addirittura tirannico”.
Così si capisce molto bene. Infatti, se aggiungiamo “utilizzatore finale di donnine allegre”, allora possiamo affermare senza ombra di dubbio che, in Italia, almeno uno ce n’è. Buttiamo all’aria tutti gli ideologismi inutili perché, pensandoci bene, di persone così ne conosco diverse. Il fatto è che non li ho incontrati nei CSM ma sui luoghi di lavoro. Diversi dirigenti che ho avuto corrispondono in toto a queste caratteristiche (chiedo scusa, intendevo dire che hanno questi tratti personologici). Solo che non sapevo che fossero psicopatici, pensavo che fossero solo “stronzi”.
Ma quanto sono strane le diagnosi in psichiatria. Se un amministratore delegato ha queste caratteristiche si parla di un uomo volitivo. Se invece è un poveraccio ed anche un drogato, allora diventa uno psicopatico, non curabile con alcun trattamento.
E ancora ci sono altri luoghi dove noi incontriamo gli psicopatici: nei film, nei telefilm e sui nostri giornali e telegiornali. Ora io non sono uno psichiatra ma ho fatto il giornalista per diversi anni e vi posso assicurare che il massimo dell’ambizione per i colleghi della cronaca è trovare lo psicopatico. O, in altri termini, sbattere il mostro in prima pagina. E quando non ne trovano, perché non esiste uno psicopatico puro al 100% (spero ne siano consapevoli anche gli Autori), mettono tutta la loro abilità nel far coincidere il malcapitato con questa mitica figura. “Adaequatio rei et intellectus” direbbe Tommaso d’Aquino. O meglio, la verità sta nell’adeguare la realtà alla sua rappresentazione linguistica o concettuale. O anche visiva che, per i giornalisti e quindi per il vasto pubblico, coincide con una serie di personaggi filmici: dal protagonista di Psyco ad Hannibal Lecter.
Stiamo arrivando al cuore del problema: la diagnosi in psichiatria. La diagnosi in psichiatria ha una funzione positiva quando viene usata come primo approccio a un paziente, ha viceversa una funzione negativa quando si vuole necessariamente inquadrare una persona in una ben precisa patologia facendole, appunto, coincidere. Gli esseri umani sono estremamente complessi e si modificano nel tempo. Ridurre una persona a una diagnosi, soprattutto in psichiatria dove non c’è alcuna certezza scientifica ma solo evidenze statistiche, significa considerare la persona al di fuori dei contesti nei quali vive, significa renderla un oggetto del quale possiamo dire che sia bianco, verde o rosso.
Detto questo nessuno vive su Marte: sappiamo benissimo che esistono pazienti più o meno difficili.
Ma, a mio avviso, dovremmo limitarci a questo.
Permettetemi un’ultima facezia: che gli psicopatici siano ingestibili non è affatto vero. Nella Germania degli anni ’30 ci sono riusciti benissimo arruolandoli nelle SA. Che poi l’esperimento sia fallito non è colpa loro. Furono i nobili dell’esercito tedesco che non potevano sopportare di essere equiparati al “canagliume” e che li fecero sostituire con le SS. Psicopatici anche loro, ma che provenivano da buone famiglie. Quanto conta la posizione sociale e non solo in psichiatria.
Torniamo alle cose serie. Ciò che colpisce nello scritto è l’individuazione di chi sia il responsabile della legge 81. In un primo momento si afferma che “dobbiamo alle norme europee il superamento di questa condizione dal momento che l’Unione Europea aveva più volte ribadito il diritto per i cittadini di un paese ad avere lo stesso trattamento sanitario”. Poi però si aggiunge che l’attuale governo ha agito su pressioni esterne (della UE? Ma no, casomai del Comitato Stop OPG, della Commissione Marino, dei “basagliani” per farla breve) che agendo attraverso “ideologismi sclerotizzati” non ha previsto nella legge “strutture ad alta sicurezza”.
Che caduta di Stile miei cari Autori! Ma come scrivete un articolo con stile colto, dottorale, quasi scientifico e, all’ultimo, ve ne uscite con una simile contumelia. Potevate limitarvi ad affermare che prima si sarebbe dovuto studiare, progettare, costruire le Rems, sperimentarne l’efficacia e quindi ricostruirle da capo e poi forse, fra trenta/quarant’anni, abolire gli OPG. Tanto che fretta c’è.
Ho vissuto la malattia di mio figlio prima a Roma poi a Trieste. In quest’ultima città non ho trovato ideologismi sclerotizzati ma solo buone pratiche, quantomeno incomparabilmente migliori di quelle romane. Qui le persone vengono curate non solo sulla base dei sintomi che manifestano ma anche tenendo conto dell’ambiente in cui vivono e, quindi, progettando percorsi individuali che tengono conto delle multifattorialità della genesi dei disturbi psichiatrici.
Se il percorso non funziona, se ne sperimentano altri fino a trovare quel mix che offre i migliori risultati. Cosa ci vedete di ideologico in tutto questo non so, a me sembra solo un pragmatico buon senso. E i casi difficili, come quelli di cui si parla nell’articolo, si trattano investendo più risorse ed energie e, talvolta, creatività. Non sempre ci si riesce – la perfezione non è di questo mondo – ma almeno ci si prova.
I problemi posti nell’articolo esistono. In primo luogo sono problemi legali, e allora si agisca sulla magistratura o sui politici. A nessuno piace la legge 81. Si tratta di un compromesso che per il momento va accettato perché sempre di un progresso si tratta. In secondo luogo c’è il problema dell’opinione pubblica. E allora ci si rivolga ai giornalisti perché evitino di creare allarme sociale presentando le notizie con maggiore senso di responsabilità.
Prendersela con chi si impegna per cambiare le cose è un controsenso logico. O, più umanamente, è una forma di invidia.
Ancora un paio di osservazioni. Voi affermate che in ogni singolo modulo di Rems si troverebbe ad ospitare 3 o 4 psicopatici. In altro punto dite che sono il 20% della popolazione OPG. Di conseguenza ipotizzate strutture di 15, 20 persone. Ovvero dei piccoli manicomi giudiziari.. Come pensate di poter curare, contemporaneamente ed efficacemente, tante persone.Con strutture come la Rems di Pontecorvo (vedi foto)?Basta vedere un’immagine, di quella “struttura” per 10 donne. Ma a chi è venuto in mente un progetto così terribile e inumano? E voi psichiatri romani non avete niente da dire? Ma alla fine lo spiegate: “In Italia la rete post Rems è affidata allo standard offerto dalla residenzialità per la gran parte privata”. E già a Roma si fa così. Si mettono le persone nei peggiori contenitori. Si appalta ai privati. Ci si libera dal problema e, forse, si guadagna anche qualche cosa.
Ma non sta scritto da nessuna parte che i soldi che lo Stato ha stanziato per le Rems debbano finire nelle tasche dei privati. Perché non provate a usarli voi nelle strutture pubbliche che gestite. Nessuno vi dice come dovete fare le Rems: potete dar sfogo alla vostra esperienza, professionalità, persino alla creatività. Potreste provare a risolvere i problemi che avete individuato. Perché non rimboccarvi le maniche? Ho dato un’occhiata ai vostri curricula su internet e la risposta mi è venuta naturale: non avete tempo, occupati come siete nello scrivere articoli, nello svolgere i numerosi incarichi accumulati. E forse anche nel visitare pazienti a pagamento.
E allora vi do un suggerimento: prendete uno dei vostri collaboratori, un rompiscatole, uno che “basaglieggia” e affidategli l’incarico di strutturare le Rems dandogli carta bianca. Se riesce, il merito è vostro, se fallisce la colpa è dei suoi “ideologismi sclerotizzati”. E’ perfetto, non trovate?
(*) Presidente Ass. familiari “Noiinsieme”, Trieste