8 Gennaio 1973.
Nel manicomio aperto di san Giovanni era nata da poco la prima cooperativa. Basaglia mette a disposizione degli “artisti” uno dei primi reparti vuoti. Giuliano Scabia scrittore, regista e attore e Vittorio Basaglia pittore e scultore con i giovani dell’accademia di Venezia danno inzio a un singolare laboratorio. “Vediamo cosa sapete fare in un manicomio che si apre” aveva detto loro Basaglia qualche settimana prima a Venezia, provocando alla sua maniera. Sulle prime pensano di costruire una grande casa di cartone, una scena, una provocazione per entrare nelle cose. Nell’affollatissimo reparto Q, osservazione donne, s’imbattono in Angelina Vitez. È una donna calabrese emigrata a New York, sposata a un triestino, tornata in patria e ora ricoverata a Trieste. Sta disegnando un cavallo, con quattro linee divide il corpo del cavallo in sei scomparti e in ognuno disegna una cosa: un vaso di fiori, un’oca, una pentola, una casa, un albero e un Pinocchio. Dice che si chiama Marco come il cavallo che porta su e giù per San Giovanni il carretto della biancheria sporca e che ormai vecchio sta per essere mandato al macello. Gli internati vogliono salvarlo da quella fine tremenda.
È così che è nato Marco Cavallo.
Il laboratorio per due mesi accoglie centinaia di ricoverati. Tutti sono invitati a scrivere, disegnare, raccontare, partecipare. Si scrivono libri colorati su grandi fogli bianchi. Si raccolgono storie. Si rappresentano operine recitate e cantate. Si parla del cavallo Marco che sta prendendo forma in legno, cartapesta e azzurro e di come procedono le iniziative per salvarlo.
L’avvio tumultuoso del laboratorio stravolse definitivamente quello che restava dell’ordine e della disciplina asburgica già minata nelle fondamenta dalle porte aperte. Perfino l’imperturbabile signor economo non fu risparmiato. Sempre più frequentemente, l’economato si trovava a dover acquistare spazzolini da denti, specchi per i bagni, porta sapone, e sedie fuori dall’inventario, biglietti e tessere per l’autobus, per il cinema, per il teatro, e farina, olio, aromi per i primi esperimenti di preparazione di pietanze all’interno dei reparti o delle prime comunità autonome o per sostenere la vita quotidiana dei primi dimessi. E ora quantità industriali di carte, cartoni, colori, pennelli, legnami, chiodi, viti, martelli, colle, album, stoffe. Giorno dopo giorno le economie, le risorse, le procedure di spesa venivano orientate verso i bisogni delle persone e per e i loro desideri. Fino a quel momento i bisogni sepolti nella malattia, inavvertiti e annientati, prendevano timidamente il sopravvento sulla totalizzazione, sull’omologazione, sull’appiattimento.
Quell’esplosione di parole così affascinanti, di comunicazioni, di storie, di aperture, di allusioni alla libertà, prima di tutto, e poi alla casa, ai diritti, all’uguaglianza, all’amore, all’amicizia disorientavano tutti. Sconvolgevano le geometrie istituzionali, fredde ma sicure, che erano state bene o male la certezza della secolare riproduzione del manicomio e della psichiatria.
A distanza di quarant’anni le cronache dell’esperienza di Marco Cavallo, scritte da Giuliano Scabia e pubblicate da Einaudi nel 1976, si sono riaffacciate sul mondo dell’editoria in una veste nuova.
Marco Cavallo. Da un ospedale psichiatrico la vera storia che ha cambiato il modo di essere del teatro e della cura è il nuovo titolo della riedizione realizzata da edizioni alphabeta verlag di Merano e il primo testo della nuova collana 180 Archivio critico della salute mentale. Che voi tutti conoscete.
Parlo del cavallo oggi nella speranza che possa rafforzare, stimolare e provocare il desiderio e la memoria del cambiamento, allontanando la smemoratezza che rischia di appiattire e cancellare dal presente ogni traccia del passato profondo.
Troppe voci tacciono. Coscienze morte. La follia rischia sempre più spesso di essere associata alla pericolosità. Il cavallo oggi è ancora più magico di allora e, tuttavia, rischia di tornare a essere rinchiuso, circondato da mura. E invece deve continuare a “correre”, deve continuare a girare come sta facendo, tutta la penisola facendo sosta davanti ai servizi di diagnosi e cura chiusi, davanti ai manicomi giudiziari, davanti ai luoghi in cui le persone muoiono di psichiatria, davanti ai centri di salute mentale vuoti, sporchi e privi di significato, davanti alle cliniche private, private di senso, che privano le persone di futuro.
Da quando ha fatto breccia nelle mura del San Giovanni, il cavallo azzurro ha capito che, da quel momento in poi, avrebbe sempre dovuto raccontare la sua storia dall’inizio, come fosse la prima volta. E così continua a fare con cavallina caparbietà. Buon compleanno Marco Cavallo!