Di Alberto Fragomeni
Qualche tempo fa, mi ha chiamato Peppe Dell’Acqua per chiedermi se ci saremmo visti a Milano per Book Pride. C’era una presentazione dei libri narrativi della Collana 180, e io, che ho deciso già da tempo di non contribuire più alla promozione del mio scritto, ho risposto che sì, avrei raggiunto lui e gli altri componenti della grande famiglia della Collana a Milano, ma solo per salutarli e per stare un po’ con loro. Durante la telefonata, a Peppe è venuto in mente che forse avrei potuto aiutarlo per una cosa che deve fare in questi giorni, compilare un glossario di termini filosofici per un libro a cui sta lavorando. In particolare, mi ha chiesto se volessi scrivere qualcosa sulla Fenomenologia. Gli ho subito risposto che non me la sentivo, dato sono solo uno che ha letto un paio di libri, mentre, come sa benissimo, a Trieste è circondato da filosofi che possono svolgere questo compito in pochi momenti, e in modo assolutamente rigoroso.
Poi, dopo Book Pride, in Stazione Centrale, prima di salutarci io e Peppe siamo tornati sull’argomento, e così ho deciso di giustificare un po’ meglio il mio rifiuto, e gli ho chiesto se gli avessi mai raccontato la storia di Jaspers e Husserl sulla comprensione della Fenomenologia, e quando lui ha risposto di no, ho attaccato: un giorno il giovane Jaspers, in quegli anni allievo prediletto di Husserl insieme a Heidegger, si reca dal suo maestro e gli chiede se avesse un po’ di tempo per spiegargli meglio la faccenda della Fenomenologia, che non gli era per niente chiara. Husserl, allora, gli risponde di stare tranquillo, che la Fenomenologia è una cosa molto complicata, e non c’è bisogno alcuno che lui la capisca, dato che la sta già applicando correttamente nei suoi lavori.
All’epoca Jaspers stava scrivendo la “Psicologia delle visioni del mondo”, il testo che segna il suo passaggio dalla medicina alla filosofia, e lui stesso racconta questo scambio di battute avuto con Husserl nell’introduzione a “Filosofia”, il suo capolavoro del 1931.
Ecco perché, ho detto a Peppe, perchè ho respinto il suo invito: se non l’ha capita il grande Karl Jaspers, che la Fenomenologia la studiava con Husserl che l’ha inventata, e anzi, se questi gli ha detto in faccia che neppure poteva capirla, che posso scrivere, io, sull’argomento?
Peppe, allora, mi ha risposto che potevo scrivere proprio questo racconto, non per il Glossario, ovviamente, ma per il Forum, magari, dato che è una storia molto interessante. Gli ho detto che in effetti è stata un mio cavallo di battaglia, quando studiavo la Metafisica, e che l’ho raccontata spesso e con molto piacere, modificandola ed esagerandola, un po’ come si fa con le barzellette. E proprio come ogni buona barzelletta, funziona ancora meglio se la si racconta in dialetto. Ho accennato a Peppe che nella mia testa, a volte, me la immagino svolgersi in napoletano, il dialetto di mia madre. Più o meno avviene così, con Jaspers che rincorre Husserl nei corridoi dell’università:
“Mastro Ussérl, Mastro Ussérl!”
“Ué uagliò, che tieni?”
“Facitim nu piacer’, maestr’: tenit cinq minut ‘e tiemp p’ mi fa capì stu fatt ‘ra Fenomenologgia, ch’ stong nu poc’ confus’…?”
“Carlett’, mannegg’ a capa toja! Statt’ calm, che non fa nient se n’a capisc, a Fenomenologgia, che è ‘na cosa tropp gross’ pe’ te, ch’a stai già facend’ bbuona. Jamm bell’, jamm! ‘Na tazzulella ‘e cafè a vuoi?”
No, non era proprio il caso che contribuissi a quel glossario.