Bisogna muovere dalla consapevolezza delle nostre esperienze, che in tante circostanze abbiamo dovuto lucidamente considerare, e dichiarare che la maggioranza dei servizi di salute mentale così come sono organizzati oggi hanno scarsa valenza di cura; che non sono in grado di dispiegare le enormi potenzialità dimostrate dalle buone esperienze innovative e da un assetto legislativo unico al mondo; che bisogna ridefinire nuove relazioni, nuovi spazi, nuovi soggetti, nella necessità di avere “umanamente” cura dell’altro; che l’unica possibilità di agire una dimensione trasformativa, terapeutica, abilitativa, emancipativa nell’attuale sistema dei servizi di salute mentale non può prescindere dalla loro stessa trasformazione. Bisognerà contare su quella vasta schiera di giovani che siamo, e che vogliamo raccontare, non ancora del tutto “contaminata” dalla psichiatria. Operatori che si formino nell’agire quotidianamente la tras/formazione stessa, anche in opposizione alla formazione accademica grigia e per tanti di noi insoddisfacente, almeno in Italia. Il rifiuto ostinato della contenzione, della “porta chiusa”, della negazione dei diritti, e più in generale di tutte le forme inerti e stupide di oggettivazione deve rappresentare il discrimine tra la volontà di rinnovamento e la riproduzione di psichiatrie e di psichiatri sordi a ogni forma di cambiamento. Con umiltà e abbandonando la confortevolezza dei luoghi comuni bisogna tornare sulle parole, ora a rischio di sparizione, che dettero inizio ai grandi cambiamenti negli Stati Uniti, in Europa e nel nostro paese. A fronte delle conoscenze certe apprese dallo studio della clinica e della semeiotica dei disturbi mentali, bisogna ripensare strategicamente al mondo dell’esperienza, a quanto accade veramente nella nostra quotidianità, alla fatica della ricerca dell’altro. La messa tra parentesi della malattia, per esempio, ha restituito allo sguardo e all’ascolto uomini e donne nella concretezza e nel divenire della loro esistenza; ha reso possibile il racconto delle storie delle persone e del loro gruppo di appartenenza, la scoperta dei bisogni, la ricostruzione dei rapporti con la propria comunità. Essere con le persone rende finalmente comprensibile la loro sofferenza. Le sottrazioni e le miserie di tanti servizi di salute mentale, una volta rese visibili, non possono non diventare il punto di partenza, faticoso e contraddittorio, per impegnarsi in pratiche di cambiamento intorno alla corporeità, la materialità, la tangibilità delle persone.