morire di classeA quarant’anni dalla sua prima uscita e a trent’anni dalla Legge 180, la ristampa anastatica de “Morire di classe, la condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin” a cura di F. e F. Basaglia ed edito da Einaudi.

La Cooperativa Sociale Duemilauno Agenzia Sociale ha curato la ristampa in forma anastatica di un testo, ormai quasi introvabile, un libro-inchiesta di rottura, con lo scopo come ha spiegato molto bene Carla Cerati, di scuotere le coscienze, mostrare qualcosa che i più non conoscevano e inconsciamente non volevano conoscere.

Per avere una copia: www.2001agsoc.it

Alberta Basaglia: carte di interesse nazionale (da Il Piccolo di Trieste 28.11. 2008) – Figlia di gloria. Il suo nome è famoso fra i cittadini, i politici, i medici, i governi, in Italia, all’estero, nel mondo. Nome amato, rispettato, discusso, evocato, criticato. Insomma Alberta Basaglia, figlia di Franco Basaglia, e di Franca Ongaro Basaglia, porta su di sè, ma con leggerezza si direbbe, un pezzo di grande storia tuttora in cammino. La fine dei manicomi, una battaglia per i diritti civili di cui oggi tanti sentono scricchiolare le fondamenta.

L’altra sera Alberta è venuta a Trieste, la patria professionale del padre dove la psichiatria ha fatto e persegue la «rivoluzione dei manicomi», per presentare nel nuovo, «trendy» ma minuscolo spazio della Stazione Rogers la ristampa anastatica di «Morire di classe», indimenticato e ormai introvabile libro con le drammatiche foto dai manicomi ancora non aperti di Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, riedito dalla Cooperativa sociale Duemilauno (a distribuzione gratuita). Caschetto di capelli biondi, Alberta Basaglia ha nella bocca e in quello sguardo a tratti sornione e obliquo la stessa faccia del papà. Con cui vive adesso a stretto contatto, attraverso il suo archivio. È vero che per le carte di Franco e Franca Basaglia si apre una nuova prospettiva? «Sì, le abbiamo trasportate da Roma a Venezia. Comune, Provincia e Regione Veneto hanno molto supportato questo trasloco, gliene sono molto grata. Tutto l’archivio dei miei genitori è da giugno ospitato all’isola di San Servolo, l’ex manicomio di Venezia, ora Fondazione, e ben ristrutturato. In più il ministero dei Beni culturali lo ha riconosciuto come archivio familiare di interesse nazionale. È notizia fresca. Sono molto contenta». Quanti pezzi? Di che genere? «Il personale del ministero lo sta appena adesso esaminando. Comunque c’è tutto, dagli anni ’70 al 2003. Lettere. La corrispondenza degli anni in cui mio padre lavorava all’apertura dei manicomi, contatti con chiunque. Con Sartre. Con Foucault. Ci sono tutti i manoscritti dei libri, tutto il «retro» dell’attività sua e di mia madre». Come si vive accanto a un padre così? «È stato più difficile quand’ero ragazzina. Ai tempi di Gorizia frequentavo ancora le elementari, ero piccola, ero anzi la sorella piccola di tutti gli operatori del manicomio, poi a Trieste sono diventata una sorella maggiore. Perché la vita era molto partecipata. Conoscevamo tutti, vedevamo tutto». Non sentiva le tensioni in mezzo alle quali Basaglia si muoveva? «Capivo l’importanza della cosa. Ma mi sembrava una cosa normale. Quello era il modo di vivere, e quello si stava vivendo». Ma è un’eco, un lavoro, un nome, un avvenimento che in pratica non finisce mai. Non le pare un eterno presente? «È vero, non finisce mai. Ma mi fa piacere. Mi ricorda che è successo qualcosa davvero, allora. Che quello che mio padre voleva dire esiste ancora». Insomma mai un senso di famiglia ingombrante? Anche sua madre era ed è «Basaglia». «Be’, sì, è stato ingombrante. Come no, molto ingombrante. Difatti io sono rimasta in quella scia. Ho studiato Psicologia, però. Oggi lavoro al Comune di Venezia e mi occupo, da psicologa, di donne, bambini, di eventi di pace». Non ha mai incontrato ostacoli come «figlia di»? «Non direi, perché mi pare chiaro che con quella riforma si sia inciso profondamente sulla vita delle persone che stavano male. Ora si può anche tornare indietro, ma solo fino a un certo punto. Il vero problema oggi è quanto indietro si sta tornando su questioni come i diritti delle donne, la scuola pubblica. Il tema della salute mentale sta alla pari con questi. Ma una cosa è sicura: all’orrore di prima non si torna più. Oggi bisogna di nuovo lottare e con lo stesso animo per non perdere le battaglie già vinte, per la legge 194, per il divorzio. E per le scuole, appunto». Suo padre è morto quando stava per raccogliere i frutti del suo straordinario lavoro. Come ha ripensato in seguito a questo due volte tragico evento? «Ho pensato che grazie a coloro che avevano lavorato qui con lui a Trieste, anche senza di lui le cose si sono trasformate. E tutti coloro che gli sono stati accanto sono i suoi eredi, e i primi sono i colleghi di Trieste. Ho pensato che uno è caduto per strada, e gli altri sono andati avanti. Anche se lui era il maestro. Ci fosse stato ancora, i risultati sarebbero stati simili, tra mio padre, Franco Rotelli e il suo gruppo la coincidenza era vera e totale. (Gabriella Ziani)

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